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Di fronte alla fissazione da parte della Direzione Competition della Commissione Ue del termine di 30 giorni per trovare una soluzione per le due banche venete (che in caso negativo si avvierebbero alla risoluzione) vien fatto ancora di pensare a come si sarebbe potuto agevolmente risolvere questo caso se non ci fosse la normativa su burden sharing e bail-in, senza che tuttavia l’onere degli interventi pubblici si traslasse sui contribuenti (anzi con vantaggio del Tesoro, come si è dimostrato con la Sga, la bad bank del Banco di Napoli). E, pur apparendo spianata la strada per Mps, dopo oltre 5 mesi di discussioni e negoziati, bisogna concludere che c’è del metodo in questa follia. La suddetta Direzione è arrivata a considerare aiuti di Stato, come ha ricordato il governatore Ignazio Visco nelle Considerazioni Finali, anche le risorse private del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi: una tesi, questa, cui non si sarebbe mai dovuto prestare acquiescenza da parte del governo italiano (che solo tardivamente ha fatto ricorso alla Corte di Giustizia Ue in relazione ai postumi del caso Tercas). Se si fosse resistito e fatto ugualmente intervenire il Fondo, certamente sarebbe stata attivata da Bruxelles una procedura di infrazione – con le conseguenze anche sul piano economico – ma la storia delle crisi delle banche, a cominciare dai noti quattro istituti, sarebbe stata completamente diversa. Alla fine sarebbe intervenuta la predetta Corte a sentenziare. Ora però factum infectum fieri nequit. Compiuto un errore grave, per la parte che è ancora possibile bisogna rimediare.

Per le due banche venete ormai la questione è diventata eminentemente politica e a tale livello deve essere trattata: il governo di un Paese fondatore dell’Ue non può essere tenuto in scacco da burocrati quali quelli della ricordata Direzione, maestri del più vieto formalismo e ossessionati dagli aiuti di Stato, che non arretrano davanti a più che ragionevoli controdeduzioni e ritengono di essere in possesso di uno ius capitis. Un governo non può accettare aut-aut privi di fondamento e diventare destinatario di una sorta di ultimatum per l’adempimento. È ora di dire basta. Se si ritiene che l’ipotesi del Fitd possa essere ripresa per il concorso alla ricapitalizzazione pubblica precauzionale dei due istituti con risorse private magari ridimensionando l’ammontare richiesto da Bruxelles, lo si faccia senza indugio. Se invece si pensa a tal fine al ricorso al braccio volontario di quest’ultimo Fondo, ugualmente si agisca con quella rapidità che giustamente Visco ritiene essere necessaria per gli interventi nei casi di crisi, anche se in quello di specie sono mesi che è in ballo l’ulteriore ricapitalizzazione.

Se la strada degli apporti privati dovesse malgrado tutto risultare impercorribile anche con riferimento ad altre ipotesi che sono emerse (intervento di fondi), allora senza ulteriori esitazioni sarà bene procedere alla ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato per l’intero ammontare previsto. Non si potrà accettare l’ipotesi della risoluzione delle due banche. A mali estremi, estremi rimedi. Poi con la Commissione Ue ci si rivedrà in giudizio e sarà un’occasione per un fondamentale chiarimento nell’interesse di tutti. L’eventuale materializzazione del rischio di sfiducia con gravi danni per risparmiatori, famiglie e imprese, sarebbe infatti insostenibile. Sarà altresì importante conoscere l’ultima posizione al riguardo della Vigilanza unica, ma prima ancora che abbia fine l’andazzo che vede Bruxelles chiedere per i due istituti meno capitale pubblico e Francoforte pretendere più capitale tout court: un’estrinsecazione plastica della confusa molteplicità di autorità e istituzioni di cui ha parlato Visco.

(Articolo tratto da MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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