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L’atteso ritorno in Borsa di Banca Monte dei Paschi di Siena, precedentemente previsto tra il 2 a il 6 di ottobre, slitta di qualche giorno, probabilmente entro fine mese. Nel frattempo, non senza complicazioni, prende forma il rimborso pubblico agli obbligazionisti subordinati che avevano investito nei titoli emessi nel 2008 con scadenza il prossimo anno.

SLITTA L’IPO

“Vista la complessità del caso, la strada per il ritorno a Piazza affari di Mps si sta rivelando più lunga e contorta di quella necessaria a un’Ipo”, scrive Marco Ferrando sul Sole 24 ore del 7 ottobre. Tra le complicazioni che hanno prolungato il rientro in Borsa, c’è la redazione del prospetto informativo dell’Ipo, cioè dell’offerta delle azioni della banca senese che sancirà appunto il ritorno a Piazza Affari. Il problema è che tale documento deve contenere anche i termini per lo scambio delle obbligazioni subordinate in bond meno rischiosi, a carico dello Stato. A ogni modo, il prospetto di Ipo, giovedì dopo il consiglio di amministrazione di Mps, è stato trasmesso alla Consob, che dovrà dare il proprio via libera entro 15 giorni. Per questo motivo si attende ora che il nuovo Monte dei Paschi possa rientrare in Borsa entro la fine del mese.

IL RIMBORSO DEI BOND SUBORDINATI

Il rimborso dei bond, come era perfettamente immaginabile, si è rivelato complesso. Nei giorni scorsi la banca ha annunciato i termini dello scambio. Prima di richiamarli è necessario ricordare che, così come deciso lo scorso dicembre, quando era scattata la ricapitalizzazione precauzionale che ha consentito al Tesoro di salire controllo di Rocca Salimbeni, è innanzi tutto previsto che con il burden sharing (condivisione degli oneri) si scambino le obbligazioni subordinate con azioni, operazione già avvenuta nei mesi scorsi. Dopodiché – e qui entra nel vivo il ristoro – è stato deciso che, in alcuni casi, la banca senese scambi le azioni convertite con obbligazioni non subordinate, e quindi meno rischiose, di nuova emissione. E infine che il Tesoro acquisti le azioni, operazione che permetterà allo Stato di salire appena sotto il 70% della banca.

I NODI DELL’OPERAZIONE

Da tempo, è stato stabilito che a essere rimborsate siano le obbligazioni Antonveneta (emesse quindi per finanziare l’acquisizione) di tipo “tier 2” con scadenza nel 2018, in quanto si tratta di prodotti molto diffusi tra i risparmiatori. Il problema però è che il valore nominale di queste obbligazioni è pari a poco più di 2 miliardi, mentre i bond che la banca conta di scambiare con azioni pagate dal Tesoro ammonta a 1,53 miliardi: è evidente che qualche bondholder non sarà accontentato e resterà fuori dal perimetro dei rimborsi. Tuttavia, “per poter aderire all’offerta – scrive Ferrando sul Sole 24 ore – occorre dimostrare di aver acquistato i subordinati direttamente dalla banca, entro il primo gennaio 2016 e senza disporre di elevate competenze finanziarie. Non tutti gli ex titolari del tier 2 sono in possesso in questi requisiti, anzi da stime di mercato si ricava una quota intorno all’80-90 per cento”.

È DAVVERO MISSELLING?

Un altro punto che alimenta dubbi è se effettivamente fissare come paletto l’acquisto entro il primo gennaio del 2016 senza disporre di adeguate competenze finanziarie sia sufficiente a limitare i rimborsi ai casi di “misselling”, cioè di vendite improprie, come più volte ribadito e sollecitato nei mesi scorsi dalla Bce. Perché in caso contrario potrebbero sorgere nuove complicazioni, nei tribunali sotto forma di cause giudiziarie, ma anche nei rapporti dell’Italia con l’autorità di vigilanza, che potrebbe storcere il naso.

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