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Vi prego, lasciamo da parte le formulette care agli psicologi da talk-show: la sindrome di Peter Pan e altre cose del genere. Evitiamo di indorare la pillola, di cercare l’eufemismo e la litote, di sdrammatizzare e giustificare.

Nell’Italia del 2017, c’è un autentico dramma – a me pare – rappresentato dall’infantilismo di troppi adulti: poi ciascuno decida se è un rifiutarsi di crescere, o se è un viaggio di ritorno, una sorta di ri-infantilizzazione. La sostanza non cambia.

Basta farsi un giro sulle bacheche social di tanti quarantenni e cinquantenni per trovare frasette e emoticon da “bimbiminkia”. Basta una mezz’ora al parco o in palestra per trovare persone ben più che grandicelle vestite come se fossero quindicenni (neppure troppo svegli). Basta uno sguardo alla tv per comprendere che la maggior parte dei format sono concepiti per una soglia d’attenzione degna di uno studente non proprio brillante di seconda media. Basta farsi un giro in libreria per vedere come perfino le copertine dei libri siano concepite per attrarre il potenziale acquirente-bambinone.

Che fare? Un bel disastro. È come se fosse scattata una rimozione complessiva del senso di responsabilità, un allontanamento sistematico di ostacoli e prove, un continuo “post-datare” ogni redde rationem, la convinzione di poter vivere in un lungo e indefinito weekend mentale. Ci si vuol divertire: sacrosanto! Si cerca una pausa in un tempo di tensioni e paure: giustissimo! Ma qui – mi pare – siamo in un territorio diverso, lieve e irresponsabile, in cui la nuvola del dovere non sembra comparire mai all’orizzonte.

Poi però, sotto forma di dramma privato o di tragedia collettiva, la realtà si incarica di prendersi le sue rivincite. Ed è lì che emerge tutta l’impreparazione di un paio di generazioni. Il conto arriva, e in Italia un po’ tutti si sono abituati a non doverlo pagare.

istat, Biotestamento, Daniele Capezzone, logge massoniche

Chi cura l'infantilismo degli adulti?

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