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“Il candidato non pervenuto”. E’ grossomodo con queste parole che il settimanale Spiegel – pur di simpatie liberal – si occupa nel suo ultimo numero in edicola di Martin Schulz, candidato dei socialdemocratici tedeschi (SPD) che vorrebbe scalzare la cancelliera cristiano-democratica (CDU/CSU) Angela Merkel. Sembrano già lontanissimi i tempi del cosiddetto “effetto Schulz” o della presunta “stanchezza da Merkel”, espressioni con cui gli opinionisti europei annunciavano una battaglia serrata per le elezioni tedesche di fine settembre e una riconferma mai così a rischio per la cancelliera uscente. Oggi infatti il candidato dell’SPD non riesce più a impensierire Merkel, almeno nei sondaggi.

Tuttavia adesso Schulz prova a uscire dall’angolo, presentando a Berlino – rivela sempre lo Spiegel – un capitolo importante del suo programma economico. Un capitolo che tra l’altro dovrebbe essere caro ai tanti europei che negli anni della crisi della moneta unica non hanno smesso per un secondo di chiedere alla potente e florida Germania di investire più soldi pubblici per sostenere la sua domanda interna e puntellare in questo modo la ripresa anche al di fuori dei propri confini. Richiesta sempre rispedita al mittente, perché a Berlino la priorità è stata quella di rimettere il bilancio in pareggio, poi di tenerlo in equilibrio, infine di puntare all’avanzo di bilancio: tutto, insomma, purché spendere una quota crescente dei soldi del contribuente tedesco. Ora invece Schulz, in un paper intitolato “das moderne Deutschland”, “La Germania moderna”, propone addirittura una forma di “obbligo” all’investimento pubblico per lo Stato. Ogni volta che ci saranno margini di manovra per la finanza pubblica – perché investire in deficit non è troppo popolare nemmeno tra l’elettorato di sinistra in Germania – lo Stato sarà tenuto a investire in fibra ottica, autostrade, scuole e ospedali. Una sorta di “velocità minima per gli investimenti” (“Mindestdrehzahl für Investitionen”). Dall’Spd dicono che solo con gli investimenti pubblici si introduce una forma di assicurazione sul futuro del paese e si supera una vecchia concezione della crescita legata esclusivamente al Pil. Secondo le stime degli autori del piano, tra cui spiccano i nomi di Bert Rürup (già capo dei Saggi dell’economia della Repubblica) e Henrik Enderlein, parliamo di 30 miliardi di euro di investimenti pubblici – aggiuntivi rispetto ai piani attuali – entro quattro anni. Tanto? Poco? Agli economisti l’ardua sentenza.

Quel che conta è che questa sarà pure musica per molti intellettuali europei, ma in Germania per ora la campagna di Schulz è tutt’altro che decollata. Anzi. L’ultimo sondaggio “Politbarometer” – pubblicato in queste ore dal secondo canale televisivo pubblico ZDF – indica che la coalizione di centro-destra CDU/CSU che sostiene la conferma di Merkel come cancelliera è al 40%, mentre l’SPD che sostiene Schulz è al 24%. E 16 punti di distacco non sono pochi. Mercoledì scorso, altro sondaggio – stavolta Forsa – e altra doccia fredda per Schulz e la sinistra: l’Unione di Angela Merkel conquista un punto rispetto a una settimana prima e tocca di nuovo il 40% dei consensi, mentre l’SPD resta al 22%, con i numeri – al momento – per una coalizione giallo-nera, fra l’Unione di Merkel e i Liberali del giovane, rampante, Christian Lindner. Insomma, l’SPD in questo scenario mancherebbe anche l’obiettivo minimo della Grande coalizione per andare al governo.

Sull’opinione pubblica tedesca, per ora, le sortite europeiste e filo-keynesiane di Schulz non hanno avuto effetto alcuno, come dimostra anche l’incidenza nulla che sui sondaggi ha avuto la visita che il candidato socialdemocratico ha fatto giovedì scorso al presidente francese Emmanuel Macron. Ma ora, a Berlino, l’SPD torna all’attacco. Con molti intellò europei che presteranno ascolto al traballante Schulz e, in cuor loro, incroceranno le dita.

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Di Cristoforo Lascio

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