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Il Venezuela precipita, senza che nessuno sappia dire dove finirà. Ogni giorno, ormai da mesi, una manifestazione di strada e un morto… Ancor più torbidi gli episodi ultimi, attacchi presunti o reali a caserme e sedi ufficiali che una parte o l’altra denuncia e quella opposta smentisce. Lasciano intravedere segni, manovre di assaggio d’una guerra civile di bassa intensità. Gli sporadici incontri tra governo e opposizione svaniscono senza lasciare traccia d’intesa, neppure un’agenda comune dei temi da discutere. Il presidente Maduro sembra deciso al tutto per tutto, nella speranza di riuscire a riformare la Costituzione in modo da neutralizzare la maggioranza parlamentare di cui dispone l’opposizione nel Congresso.

L’elemento nuovo, che sebbene tardivamente va però consolidandosi, è la frattura del “chavismo”, il movimento civico-militare che il carisma dello scomparso Hugo Chavez era riuscito a creare attorno al suo progetto di sviluppo nazionale. La gigantesca rendita petrolifera dirottata a finanziare immediatamente scuola, sanità e assistenza pubblica nel sociale; e un’industria leggera ma intensiva, destinata al mercato di consumo interno e alla modernizzazione dell’agricoltura, nell’economia storicamente monopolizzata dal petrolio. Oltre frontiera, rafforzamento di un mercato comune sudamericano (MercoSur), ma conservando – sempre attraverso l’export d’idrocarburi – buone relazioni con i giganti petroliferi degli Stati Uniti e la loro rete bancaria.

Il colonnello Chavez si era distinto fin da quando era capitano ai corsi di alta strategia dell’esercito. E una volta presidente, si era valso a livello operativo di ministri e consulenti di formazione marxista come Jorge Giordani, oltre che dei continui consigli di Fidel Castro. I risultati dei primi anni sono stati tali da garantirgli una forte adesione delle masse popolari, sebbene al prezzo della crescente insoddisfazione della classe media urbana, stretta tra un dirigismo tanto centralizzato quanto scarsamente efficiente e un’inflazione giunta rapidamente alle due cifre. Finché i prezzi internazionali del petrolio sono rimasti oltre i 70/80 dollari il barile, mantenere in piedi i bilanci pubblici è stata un’impresa non agevole e tuttavia possibile.

L’improvvisa morte di Chavez e l’altrettanto inattesa caduta dei prezzi petroliferi hanno lasciato a Nicolas Maduro una eredità sempre più pesante, che egli non è in grado di gestire. Le sue scarse doti politiche e il carattere ostinato rendono definitivamente impraticabile un progetto comunque superato dalle circostanze storiche e che rischia di spingere il Venezuela in una tragedia tale da trascinare all’indietro il Paese di decenni. Un bel pezzo di “chavismo” se n’è reso conto da tempo e negli ultimi mesi sommano a decine i dirigenti sia civili sia militari anche di vertice che criticano il presidente e gli si oppongono apertamente. Come sempre accade in questi casi, il suo circolo più intimo ha avviato una sorta di “caccia alle streghe”.

La scissione però continua. In questi giorni hanno provocato un scossone le denunce della procuratrice generale della Repubblica, Luisa Ortega, del generale Cliver Alcalà, intimo collaboratore di Chavez, di undici tra deputati e senatori, vari magistrati e una dozzina di militari di alto grado passati tra le fila dei dissidenti. Alcuni di essi, come l’ex responsabile della direzione nazionale del ministero della Pubblica Istruzione, Hector Navarro, e Ana Elisa Osorio, nota dirigente ambientalista, il sindaco Freddy Arenas, il deputato German Ferrer, marito della Procuratrice Ortega, gli ex generali Rodriguez Torres, già capo dei servizi segreti militari, Raul Salazar e Alexis Lopez Ramirez, hanno aderito a Marea Socialista, chavisti radicalmente critici che si presentano come una terza forza.

Cercano uno spazio d’intesa con l’opposizione meno estrema, qualche filo è stato allacciato ma la reciproca diffidenza rende esile i contatti. La stessa Chiesa cattolica, pur incoraggiata dal Vaticano, appare estremamente cauta. Ragionevolmente, teme di restare invischiata in qualche gioco sporco da una parte o dall’altra (o da entrambe). Quasi tutti, a parole, ammettono che la situazione rischia di sfuggire di mano al governo e all’opposizione. Nei fatti, tuttavia, Maduro va avanti spingendo la riforma costituzionale e presenziando cerimonie militari, la crisi fa stringere le fila dei fedelissimi. La maggior parte suoi avversari arringano la piazza già esasperata dalla penuria alimentare e dall’insicurezza.

La vita quotidiana a Caracas è un’avventura alla ricerca della sopravvivenza. Alla politica che slitta nella violenza segue una criminalità comune per lo più spicciola, ma non per questo meno devastante, fatta di furti e saccheggi in abitazioni private e commerci. Aumentano, c’era da aspettarselo, le armi in mani poco affidabili. La crisi delle istituzioni paralizzate dal precario e nondimeno ineludibile equilibrio delle forze in campo (governo vs Congresso, piazza vs caserme), avvelena gli animi e una volta ancora il “golpe militar” è sulle bocche di tutti come un’ipotetica via d’uscita politica. Ma gli stessi militari, almeno quelli che hanno l’autorità per esprimersi, per ora la escludono. Così la speranza di un dialogo è un filo esile che tuttavia resiste.

Ildiavolononmuoremai.it

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