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Quando, nell’ottobre di due anni fa, alla Camera dei deputati fu approvato il testo che concede ai bambini nati in Italia da figli di stranieri d’essere anche per l’anagrafe ciò che già sono nei fatti, cioè italiani, le polemiche furono limitate e ragionevoli. Ora che l’identico provvedimento s’è affacciato al Senato per diventare legge della Repubblica s’è invece scatenato il finimondo politico: perché?

Intanto, perché anche una legge che riguarda principi importanti per una grande nazione come l’Italia – ossia la questione giuridica e culturale della cittadinanza – diventa subito e purtroppo campagna elettorale: di qua il governo e il Pd che premono per introdurre la novità nell’ordinamento, sapendo anche che ne beneficeranno in termini di consensi. Di là le opposizioni che contestano la fretta di un simile cambiamento a fronte di altri e più urgenti problemi da risolvere. Consapevoli, a loro volta, di interpretare le diffidenze e le paure della propria “opinione pubblica”. Poi c’è una seconda e ineludibile ragione: sull’onda, soprattutto, dei ripetuti e orribili attentati in Europa il tema dell’identità e di come integrare gli immigrati extracomunitari in Europa s’è inevitabilmente intrecciato con quello della sicurezza. Accoglienza per chi ha bisogno e merita, ma tolleranza zero per chiunque, a prescindere da dove arrivi e quali idee, lingue o fedi professi, s’azzardi a calpestare con violenza e radicalismo i nostri valori. Da qui il timore che, accanto all’atto di giustizia reso a un milione di ragazzi non ancora italiani anche se l’Italia è l’unica loro e amata patria, si possa aprire una breccia per dare la cittadinanza a chi odia la nostra cittadinanza.

Né è sufficiente, oggi, invitare i senatori alla lettura di un testo che non solo conserva la civiltà dello ius sanguinis – continueranno a essere italiani i figli di italiani ovunque nati nel mondo -, ma che prevede l’aggiunta dello ius soli, cioè il diritto all’italianità per chi è nato o cresciuto sul suolo della penisola da genitori stranieri, con una serie di paletti: l’aver frequentato un ciclo scolastico in Italia, l’avere padri e madri residenti da tempo, con un reddito provato e così via. Ius soli “temperato”, non per caso lo chiamano. Sarebbe ora di temperare le polemiche, spiegando bene ai cittadini che gli integratissimi “nuovi italiani” nulla hanno da spartire con i violenti che ci odiano.

Se serve altro tempo, la politica se lo prenda. La priorità non può essere litigare anche su questo.

(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

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Ius soli, il diritto (temperato) all'italianità

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