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Sono due le fotografie dell’Unione europea che emergono dal congresso del Partito popolare europeo a Malta mercoledì e giovedì scorsi. La prima porta il volto di Angela Merkel, l’eterna Cancelliera tedesca in cerca di una (probabile) conferma alle prossime elezioni, che parla di un’Europa solida e solidale, difende a spada tratta l’accordo sull’immigrazione con la Turchia di Erdogan e bacchetta gli altri Stati membri per “aver girato lo sguardo altrove quando dovevamo finanziare i centri per i rifugiati siriani”.

La seconda ha invece lo sguardo di Viktor Orbán, il premier ungherese che ha detto no agli immigrati, ed è un’Europa che ha sbagliato tutto. Orbán chiama l’immigrazione degli ultimi anni “il cavallo di Troia del terrorismo e un affare per le Ong” e attacca l’intervento con gli americani nell’Africa del nord e in Medio Oriente, “abbiamo agito come pompieri piromani”.

Come si dice, in medio stat virtus. Perché se gli europeisti hanno potuto tirare un sospiro di sollievo alle elezioni olandesi, dove i liberali di Mark Rutte hanno vinto ma i populisti di Geert Wilders non hanno veramente perso, ora resta da vedere se questa Ue reggerà l’urto con le presidenziali francesi di aprile e le elezioni tedesche del prossimo autunno.

Solo una settimana fa a Roma si brindava per dimenticare la Brexit e festeggiare i 60 anni dai Trattati che fecero nascere la Cee e l’Euratom. Per le strade i supporter che sventolavano bandiere blu erano poche migliaia, quelli scesi in piazza per contestarli ancora di meno. Come dire, non proprio un #Eufightback.

Più che odio o scetticismo, questa Unione europea sembra suscitare indifferenza. Per combatterla si è riunito a Malta il Ppe, che più di tutti ha fatto parte dell’establishment in questi anni. I numeri parlano: dal 1999 è il partito più grande partito dell’Ue, oggi vanta 14 capi di governo, 3 presidenti dell’Ue su 5 provengono dalle sue fila, l’ultimo successo l’italiano Antonio Tajani, da due mesi capo del Parlamento.

La convention del Ppe voleva rilanciare il progetto di una Ue a misura dei tempi: a una, due, tre velocità, l’importante è che riparta prima che sia troppo tardi. Il cuore dell’assemblea dei popolari è nel documento conclusivo votato all’unanimità: la sicurezza e la lotta al terrorismo, il completamento dell’Unione economica e monetaria, l’immigrazione e la difesa militare sono i pilastri da cui ripartire.

Quasi nessun accenno invece alle politiche di austerity e al Fiscal compact per il controllo dei bilanci pubblici. Sulla Brexit invece, che da mercoledì è divenuta realtà con la lettera di Theresa May a Bruxelles, sono tornati a parlare i presidenti del Consiglio europeo Donald Tusk e della Commissione Jean-Claude Juncker, che si è lasciato scappare una battuta su Donald Trump e il suo entusiasmo per il distacco di Londra: “Se non la smette chiedo la secessione dell’Ohio e del Texas”.

Tra gli italiani saliti sul palco, oltre a Paolo Alli e Angelino Alfano, che hanno insistito sulla difesa comune e sulla Nato, Antonio Tajani tra gli applausi ha difeso l’identità del Ppe dicendosi “fiero di essere cristiano”.

Silvio Berlusconi, il più atteso, ha invece declinato l’invito a parlare restandosene seduto, forse in protesta con la Corte di Strasburgo che gli impedisce di tornare in campo in prima persona.

Matteo Salvini non ha gradito la partecipazione al congresso del Cavaliere e nemmeno Giorgia Meloni, che qualche giorno fa aveva dichiarato: “Se esce dal Ppe, l’accordo si trova domani”. Ma Berlusconi si dice certo di poter tenere unito il centro-destra e a Malta ha trovato la sua piena riabilitazione tra i leader popolari: al termine dell’assemblea plenaria l’ex premier si è intrattenuto a pranzo con la Merkel e gli altri capi di governo in un incontro che è durato fino a metà pomeriggio.

Tajani

Chi c'era e cosa si è detto al congresso del Ppe a Malta

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