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Mentre è ancora fresco il giubilo europeo per l’avvento alla presidenza francese di Emmanuel Macron, gli ultimi giorni del governo Hollande hanno lasciato eredità che spaventano l’agroalimentare italiano.

Nutri-Score, un sistema di etichettatura d’informazione alimentare lanciato dall’ormai ex ministro della Salute Marisol Touraine, è stato infatti notificato alla Commissione europea il 24 aprile ed entrerà in vigore a partire dal 25 luglio se da Bruxelles non perverranno richieste di modifica.

LE CARATTERISTICHE DEL NUTRI-SCORE

Basato su una scala alfabetica e cromatica a cinque tonalità tra il verde e il rosso per classificare il valore nutrizionale di ogni prodotto, il Nutri-Score si ispira alle cosiddette etichette a semaforo lanciate nel Regno Unito nel 2013. Identica è la base giuridica, il Regolamento Ue 1169 del 2011, che ha infatti modificato la normativa in materia di indicazioni nutrizionali obbligatorie, aprendo alla possibilità di utilizzare “pittogrammi o simboli” per il loro inserimento sulle confezioni.

I due sistemi differiscono in realtà per la loro definizione, l’uno misurando il tenore di grassi, grassi saturi, zuccheri e sodio in rapporto alla porzione, l’altro in base al contenuto per ogni 100 grammi di prodotto. Tuttavia, come già in Gran Bretagna, il coinvolgimento delle principali catene distributive è stato immediato: Intermarché, Leclerc, Auchan eFleury Michon hanno infatti annunciato la conclusione di un’intesa con il ministero francese per l’immediata applicazione in via volontaria del sistema di etichettatura.

IN DIFESA DEL MADE IN ITALY

La notifica di Nutri-Score ha trovato una pronta e sonora reazione nel mondo dell’agroalimentare italiano. Il timore, come già nel caso dei semafori britannici, è che il sistema di etichettatura finisca per fornire un’indicazione negativa anche a prodotti tradizionali tipici che pure godono di denominazioni di origine protetta.

L’anno scorso furono sei (Spagna, Cipro, Slovenia, Grecia, Portogallo e Romania) i Paesi che appoggiarono l’Italia nell’opposizione alle etichette britanniche, culminata con l’approvazione di una risoluzione del Parlamento europeo proposta dalla Commissione ENVI, guidata sino allo scorso febbraio dall’italiano Giovanni La Via, che invitava a ripensare la validità dell’etichettatura nutrizionale.

Ora l’Italia prova invece a rispondere con una task force presieduta dal ministro degli Esteri Alfano, in cui i ministeri delle Politiche agricole, della Salute e dello Sviluppo economico lavoreranno per la tutela del Made in Italy, con l’intento di spingere la Commissione e il nuovo governo Macron al ripensamento.

In ballo c’è la tenuta delle esportazioni verso un mercato, quello francese, che è secondo per la destinazione dei prodotti agroalimentari italiani dopo la Germania, con un valore di 4,1 miliardi di euro nel 2016. Tra i settori più a rischio per il tipo di indicazione nutrizionale, secondo le stime di Assolatte, vi è quello caseario: un business da oltre 450 milioni di euro in Francia nel 2016, in crescita del 7,5% rispetto all’anno prima e che nel febbraio 2017 ha fatto segnare un +9,6% rispetto allo stesso periodo nel 2016.

I timori delle associazioni di categoria hanno una base fattuale, come rilevato da uno studio del think tank Nomisma pubblicato nella primavera del 2016: dal dicembre 2013, cioè dall’introduzione dei semafori nella grande distribuzione britannica, al settembre 2015 prodotti italiani DOP come il Parmigiano Reggiano o il Prosciutto di Parma avevano perso il 13% ed il 14% delle vendite. Le grandi federazioni dei produttori italiani (Federalimentare, Confagricoltura e Coldiretti in primis) fanno quindi scudo comune per chiedere regole europee uniche ed evitare distorsioni di mercato.

GEOPOLITICA DEL FOOD

La difesa degli interessi dell’agroalimentare non è una novità per il governo italiano: non è mistero che il tiepido supporto del governo Renzi alle sanzioni contro la Russia per le aggressioni in Ucraina sia da addebitarsi anche ai malumori dei produttori italiani che, secondo stime Coldiretti, avrebbero perso circa 850 milioni di export.

Non stupisce, infatti, che la stessa federazione degli agricoltori abbia plaudito al recente incontro tra Putin e Gentiloni, auspicando un pronto disgelo tra i due Paesi. Favorito, perché no, dalla forte ascesa all’interno del Partito democratico del ministro per l’agricoltura Maurizio Martina. Spetterà anche a lui, inoltre, sorvegliare l’avvio dei negoziati per la Brexit, con 3,2 miliardi di export alimentare italiano che potrebbe venire penalizzato da altre iniziative simili al semaforo introdotte dalla Gran Bretagna al di fuori del mercato unico.

Da ultimo, alla bagarre sulle etichette si aggiunge anche un’iniziativa non governativa: sei grandi multinazionali del settore, Coca-Cola, Mars, Mondelez, Nestlé, PepsiCo e Unilever, stanno infatti mettendo a punto un proprio sistema di etichette per i mercati europei, che faranno riferimento ai nutrienti presenti per ciascuna porzione anziché in 100g, con l’intento di contribuire al controllo dei comportamenti alimentari scorretti. Un cambio di tattica rispetto al 2013, quando le majors dell’alimentare si scagliarono contro il sistema di etichettatura britannico, che rischia di prendere in contropiede i piccoli produttori italiani.

Antonio Scarazzini è direttore di Europae – Rivista di Affari Europei.

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