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Molti mesi fa la Federal Reserve, cioè la Banca centrale degli Stati Uniti, aveva annunziato che le condizioni dell’economia americana erano tali che poteva cominciare ad aumentare i tassi di interesse. Dopo un primo aumento, due giorni fa la Fed ha portato i tassi allo 0,75, ma ha già detto che si prepara ad altri aumenti fino a portare i tassi al 2% a fine 2018.

L’era del denaro a costo zero è finita. D’altra parte, con una disoccupazione sotto il 5%, l’economia americana corre e non ha certo bisogno di ulteriori stimoli e può cominciare a tornare a una situazione di maggiore normalità nel mercato finanziario.

Nell’immediato, la decisione della Fed è una buona notizia per l’economia europea, a condizione che la Banca centrale europea non segua questa mossa della Fed e non alzi essa stessa, immediatamente, i tassi in Europa. È probabile che sarà così, perché nella sue ultime dichiarazioni pubbliche Mario Draghi, che pure conosceva gli orientamenti al rialzo dei tassi che stavano maturando nella Fed, è sembrato deciso a non cambiare l’orientamento della politica della Bce di bassi tassi di interesse.

Dunque, se in Europa non cresceranno immediatamente i tassi, la mossa della Fed di oggi e  l’attesa di ulteriori aumenti dei tassi americani, dovrebbe far salire le quotazioni del dollaro e quindi abbassare il cambio dell’euro. Un dollaro più forte significa un euro più debole  e un euro più debole vuol dire uno stimolo alle esportazioni europee e italiane. I segnali, seppur modesti di ripresa di questi mesi, sono tutti collegati alle esportazioni europee. Un’ulteriore rivalutazione del dollaro ci aiuterà ed è benvenuta.

Il problema, però, si porrà fra qualche tempo. È chiaro che, se salgono i tassi di interesse americani, anche i tassi europei, prima o dopo, dovranno cominciare a crescere. Tra l’altro, la Germania, la cui disoccupazione è a livelli “americani” cioè è sotto il 5%, non ha certo bisogno di tassi bassi e di moneta facile e quindi la pressione nei confronti di Draghi è destinata a crescere. È inevitabile che, nel giro di qualche mese,  la Bce dovrà cominciare a seguire la Fed e a rivedere i tassi di interesse europei verso l’alto.

Chi rischia di più in questa situazione è proprio l’Italia. Noi avremmo bisogno di lucrare sul cambio basso dell’euro verso il dollaro e avremmo anche bisogno di continuare a pagare poco il debito pubblico, come sta avvenendo in questo periodo. Se i tassi di interesse cominciassero a crescere, vi sarebbe la necessità di prevedere maggiori spese per il debito pubblico e quindi un’ulteriore spesa per il bilancio dello Stato.

L’Italia ha assoluto bisogno di non ridurre lo stimolo attuale costituito dai bassi tassi e, con il debito pubblico che ha, non può certo affrontare una situazione di tassi di interesse crescenti. Di questa contraddizione in seno all’euroarea ha parlato in un’intervista molto interessante a un quotidiano del nord qualche giorno fa l’ex governatore della Banca centrale inglese Mervyn King. Egli ha detto che la contraddizione nell’area dell’euro è costituita dal fatto che la Germania ha bisogno e ha interesse a politiche monetarie completamente diverse da quelle di cui hanno bisogno Paesi come l’Italia e come la Francia. Se Draghi difende gli interessi dei Paesi che hanno bisogno di tassi di interessi bassi, come l’Italia e la Francia, entra in un duro conflitto con la Germania. Se segue la Germania, crea enormi problemi alla Francia e, soprattutto, a noi.

Questa è quindi la situazione all’indomani della decisione della Fed: un po’ di respiro subito per effetto della decisione americana, nuovi e difficili problemi domani, quando la pressione tedesca su Draghi si intensificherà. Per noi, la necessità di prepararci al momento in cui il denaro a costo zero finisce e tornano i tassi di interesse positivi e di sostituire al basso costo del denaro, che peraltro non ha funzionato molto nel sostenere la ripresa, qualche altro elemento di stimolo. Materia di riflessione attenta per il presidente Gentiloni e per il ministro Padoan. Materia di riflessione, per un Paese come il nostro, che ha già dei gravi problemi da troppo tempo irrisolti.

BCC, banco bpm, debito, tedesco

Ecco gli effetti della mossa della Fed per l'Europa

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