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Ora che le truppe jihadiste dello Stato islamico sono state costrette ad arretrare dai principali centri della piana di Ninive, vengono allo scoperto i massacri compiuti. Si parla di ricostruzione, della necessità di ripartire, di ripristinare (per quanto possibile) un clima di fiducia tra gli appartenenti alle diverse confessioni religiose che lì, su quel territorio, avevano convissuto per secoli. Almeno questo è quello che spesso si dice in occidente, dove le semplificazioni sono di casa e sempre più frequenti. E l’idea che tutto possa tornare come prima è il mantra che viene scandito e ripetuto sovente sia in ambito politico sia in settori della Chiesa.

LA PAROLA AL VESCOVO CALDEO

Chi conosce bene la situazione sul terreno è mons. Emil Shimoun Nona, oggi vescovo dell’eparchia di San Tommaso apostolo di Sydney dei Caldei ma per anni arcivescovo di Mosul (nel 2010 era il più giovane vescovo della Chiesa cattolica). E’ quindi interessante leggere l’intervista che ha concesso al sito Zenit in cui ripercorre quanto accaduto negli anni in cui le milizie fedeli al califfo Abu Bakr al Baghdadi hanno messo a ferro e fuoco la regione. Ed è proprio mons. Nona a dire che non sarà così facile ripristinare quel clima di fratellanza che c’era un tempo.

“L’ISIS HA GODUTO DELL’APPOGGIO DELLA SOCIETA’ CIVILE”

Devo confessare – ha detto mons. Emil Shimoun Nona – che non sarà facile tornare ad una convivenza pacifica con i musulmani in quelle zone. Purtroppo l’Isis ha goduto dell’appoggio della società civile: molti collaboravano con i jihadisti nelle loro azioni contro i cristiani, altri ancora partecipavano ai saccheggi delle nostre case. Si è creata una profonda ferita nell’animo dei cristiani. L’unica condizione per creare una convivenza sarebbe la presenza di uno stato iracheno forte, in grado di difendere i diritti di tutti, in grado di garantire un’educazione ostile alla formazione di mentalità terroristiche”.

“LA GUERRA HA DISTRUTTO LA FIDUCIA TRA LE COMUNITA'”

Mons. Nona non è il primo a sostenere questa linea. Un anno fa era stato l’allora custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa (oggi amministratore apostolico di Gerusalemme), a dire in una conversazione con il Foglio che “il medio oriente come l’abbiamo conosciuto nel Novecento non esiste più, è saltato. Questa guerra, che definirà i nuovi assetti, non ha distrutto solo le infrastrutture e gli stati, ma anche la fiducia tra le diverse comunità, specie tra i cristiani e la maggioranza musulmana. Niente sarà più come prima”. E, chiosando, aggiungeva che “ci vorranno molto tempo e diverse generazioni per recuperare il tipo di coesistenza precedente la guerra”.

“NON CREDO CHE I CRISTIANI IMMAGININO DI TORNARE”

La fotografia che spiega meglio d’ogni altra cosa la situazione sul campo è quella che illustra un Iraq con sempre meno cristiani. E’ ancora mons. Nona a spiegare: “Non credo che i cristiani immaginino di tornare. Bisogna creare le condizioni adeguate ad una vita dignitosa, garantire i diritti umani. Parlando francamente, non ci sono tanti cristiani di Mosul in Iraq adesso. Una buona parte di loro sono adesso è emigrata oltreconfine, c’è il desiderio di crearsi una vita nuova dopo aver subito la persecuzione nel proprio paese. I cristiani di Mosul profughi in Iraq sono un piccolo gruppo. Essi hanno iniziato a subire persecuzioni fin dal 2003, hanno resistito per anni, ma la conquista della città da parte dell’Isis è stato un colpo decisivo che ha indotto la maggior parte a fuggire”.

Difficile ripristinare la convivenza tra cristiani e musulmani a Mosul. Parla il vescovo caldeo Emil Shimoun Nona

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