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La vendita dei non performing loan delle banche italiane ai prezzi correnti produrrebbe un buco da 50 miliardi. L’affermazione è di Luigi Zingales, economista e professore di Finanza alla University of Chicago Booth School che in un’intervista al Giornale, ha detto: “UniCredit ha appena varato un’operazione che valuta i suoi non performing loans 25 centesimi per ogni euro. Se si applicasse questa valutazione all’intero sistema bancario si otterrebbe un buco di oltre 50 miliardi. L’ordine di grandezza è questo, il 2,5% del Pil”.

OPERAZIONE SOFFERENZE
L’operazione a cui il professore di riferisce è stata varata il 13 dicembre contestualmente alla presentazione del piano industriale al 2019 dal ceo Jean Pierre Mustier  e consta nella cessione di due portafogli di sofferenze (per un ammontare totale di 17,7 miliardi) con altrettanti accordi, uno con Fortress Investment Group e l’altro con Pimco che li gestiranno attraverso due veicoli in cui UniCredit manterrà una partecipazione di minoranza.

IL VALORE DEGLI NPL
Ma come si arriva ai 50 miliardi di perdita per il sistema bancario italiano? Formiche.net ha provato a fare due calcoli. Il sistema bancario italiano ha un ammontare di crediti a rischio di 360 milioni di cui 200 sono sofferenze (i cosiddetti non performing loan). In media le banche italiane espongono a bilancio un prezzo di carico sui 43 centesimi per ogni euro, mentre i fondi trovano interessante l’acquisto circa 20 punti sotto, intorno ai 23 centesimi. E la conferma arriva dai prezzi che finora sono circolati sul mercato: quando a novembre del 2015 Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti sono state risolte, le sofferenze, trasferite alla bad bank, sono state valorizzate al 17,9%: 17,9 centesimi per euro. In riferimento invece alle sofferenze di Mps, lo scorso luglio la banca senese scriveva del “deconsolidamento dal bilancio dell’intero portafoglio di crediti in sofferenza attraverso la cessione a un veicolo di cartolarizzazione a un prezzo pari a 9,2 miliardi (ovvero il 33% del valore lordo)”, come riportato anche qui. Insomma, i 25 centesimi di UniCredit sono una cifra ragionevole per il mercato.

SANO REALISMO
“Si tratta di sano realismo – dice a Formiche.net Alessandro Balsotti, direttore investimenti di Jci Capital – i vulture fund che sono disposti a comprare questi crediti lo fanno solo a prezzi molto bassi perché il loro è un approccio da speculatori e devono guadagnare dall’operazione. Una valorizzazione a 25 centesimi implica una perdita per le banche di circa 18/19 centesimi per euro di npl, nel complesso 40 miliardi scarsi”. Una cifra perfettamente sopportabile dal sistema, anche secondo Pimco, perché “non è imponente nel contesto dell’economia italiana. Rispetto alla crisi bancaria irlandese, che ha pesato per il 30% del Pil, e a quella spagnola, che ha richiesto fondi quasi del 10% del Pil, la crisi italiana potrebbe essere verosimilmente risolta con un costo che si aggira intorno al 2% del Pil”.

CHI CI METTE I SOLDI?
L’unica incognita sta nel reperimento di queste risorse. “Da un lato il caso Mps – prosegue Balsotti – dimostra che il settore privato non ha alcuna volontà di partecipare. Il progetto di UniCredit ha più probabilità di riuscire essendo più strutturato e basato su varie strategie, a partire dalla cessione dei gioielli di famiglia fino ad arrivare alla vendita a operatori specializzati delle sofferenze. L’alternativa è che i fondi arrivino dallo Stato, che è perfettamente in grado di sostenete, in ogni caso, un 2, 2,5% del Pil. Anzi, proprio ora con il sostegno della Bce e del suo piano di acquisti sarebbe il momento migliore per intervenire”.

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