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“Si è sempre fatto così!”. È questo il mantra contro cui i cittadini sbattono ogni volta che hanno a che fare con la ragnatela di incoerenze e di inefficienze della burocrazia, sopravvissute agli innumerevoli governi del paese (e anzi, peggiorate con la stratificazione della normativa). Ne scrivono, con modalità molto diverse, Alfonso Celotto (nella foto), nel libro “Non ci credo, ma è vero. Storie di ordinaria burocrazia” (historica edizioni) e Stefano Caviglia in “Storia di un locale sfitto. Viaggio allucinante nei meandri della burocrazia” (Rubbettino Editore), presentati ieri a Roma.

Celotto, docente universitario di diritto costituzionale e già nello staff di diversi ministeri, firma il libro con il suo alter ego letterario, Ciro Amendola, direttore della Gazzetta Ufficiale, protagonista dei suoi precedenti romanzi. Affronta l’argomento in modo ironico e sereno, partendo dai “dieci comandamenti” dell’impiegato (fra cui lasciare le pratiche più urgenti in fondo alla pila di carte, “perchè tanto si risolveranno da sole”, chiedere più pareri possibile per annacquare la responsabilità, copiare pedissequamente, perchè “chi copia non sbaglia mai”). Racconta dell’approvazione di una legge, da parte del Parlamento, per istituire la “giornata del dono”, degli ispettori sanitari intervenuti per sopprimere un geco in ufficio e di ciò che, verosimilmente accadde quando la capitale d’Italia fu trasferita da Firenze a Roma. “Fu in quel momento, si narra, che vide la luce il “carrozzone pubblico”. Roma era poverissima, bisognava rimetterla in sesto, e quando i sabaudi crearono i ministeri, decisero di assumere in sovrannumero per fare arricchire i romani e fidelizzarli”, ha detto l’autore.

Se Celotto descrive dinamiche della burocrazia ordinaria, che conosce dall’interno, Caviglia, giornalista di Panorama, racconta con tono rabbioso il viaggio allucinante dei cittadini appena fuori da quegli uffici. Caviglia racconta la propria odissea ventennale, nella gestione di una piccola proprietà immobiliare nel centro di Roma, ereditata dalla famiglia. Partito con il proposito di gestirla al meglio e farla fruttare facendone un ristorante, l’autore si ritrova dentro a un “film dell’orrore” (ancora in pieno svolgimento), “per la precisione, La notte dei morti viventi”, ha detto, “perché ogni tanto spuntava fuori un’autorità nuova di cui non sapevo nemmeno l’esistenza, che doveva esprimere il suo parere su qualcosa”. Si tratta di una testimonianza civile, un corpo a corpo fra la pubblica amministrazione e il cittadino che cerca di seguire le regole senza scorciatoie ed esce dal ring esausto e smarrito.

“Il tempo dei cittadini per la pubblica amministrazione non ha il minimo valore”, ammette Caviglia, e pensare che “la burocrazia nacque per limitare l’arbitrarietà del re”, ha aggiunto Celotto, che ha proseguito raccontando con ironia alcuni dei paradossi più evidenti della quotidianità nella PA, come le centinaia di orari diversi, nei vari ministeri, per le differenti categorie di lavoratori, o i capannelli che si creano vicino ai tornelli qualche minuto prima dell’orario di chiusura, con i dipendenti pronti a timbrare il cartellino esattamente allo scattare dell’ora “X” – cioè, rigorosamente alla settima ora e al dodicesimo minuto. Non un minuto di più, non uno di meno. “Il livellamento degli stipendi e un controllo insufficiente da parte dei livelli superiori, sono fattori estremamente demotivanti, ma per cambiare questo sistema non basta una legge”, ha detto, “è necessario un cambiamento culturale”.

I viaggi di Caviglia e Celotto nella burocrazia ottusa

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