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Il sogno del Socialismo del XXI secolo si è trasformato nei peggior degli incubi. Persino l’ideatore del termine, il sociologo tedesco Heinz Dieterich, ha ammesso che il modello venezuelano è un vero disastro. Formiche.net cerca di raccontare a puntate la crisi sociale ed economica del Paese sudamericano attraverso storie di difficoltà quotidiana (i nomi sono di fantasia, i casi sono purtroppo reali). Dopo l’odissea per trovare i farmaci che mancano, la seconda puntata è sulla carestia e la ricerca degli alimenti nella Venezuela socialista di Maduro.

Naky Soto è una giornalista venezuelana che vive in permanente contatto con la gente. Ha uno spirito di osservazione incredibile: fotografa microscopiche piantine che nascono tra le crepe e sull’asfalto (suo è l’hashtag #tercas, che vuole dire testarde), e crea un’empatia naturale con le persone che trova per la strada.

LA FAME VINCE SULLA VERGOGNA

Una domenica mattina si è avvicinato un uomo, un custode notturno. Le ha chiesto di comprargli qualcosa. Non mangiava da più di un giorno e sentiva che gli girava la testa. Lei ha comprato due empanadas e un succo di guayaba: “Quando la fame vince sulla vergogna e un uomo piange davanti a due empanadas, molte emozioni ti smuovono […] Piangeva prima e dopo averla morso. Cercava di parlare ma complicava la scena perché tra le lacrime, il muco che colava dal naso e i morsi, rischiava di strozzarsi”. L’uomo si è calmato e raccontò che la sua priorità era dare da mangiare ai suoi figli: “Se li abbiamo dato la vita, è per proteggerli”, disse il custode notturno. Per quello mangiava molto poco.  “Nessun fazzoletto dovrebbe asciugare le lacrime di un che lavora e non può comunque pagarsi il cibo di cui ha bisogno”, racconta Naky.

LA DIFFUSA PERDITA DI PESO

Il 1° maggio, il governo socialista di Nicolás Maduro ha aumentato di circa il 60 per cento lo stipendio minimo, che è arrivato a 200.021 Bolivares Fuertes (circa 36 euro al cambio parallelo e 20mila euro al cambio ufficiale). È il terzo aumento in cinque mesi, ma non basta per fare una spesa base di alimenti. Secondo il Centro di Documentazione e Analisi Sociale del Venezuela, per riempire minimamente un frigorifero (con uova, latte e frutta) i venezuelani hanno bisogno di 772.614 BsF. Nel 2016 il venezuelano è dimagrito in media 8,6 chili per la mancanza di cibo.

MERCATO POCO FORNITO

Trenta uova costano 10000 BsF (1000 euro al cambio ufficiale), una bottiglia di acqua di cinque litri costa 5000 BsF, un chilo di riso costa 3500 BsF, una cipolla costa 1000 BsF. Non è però solo una questione di soldi. Soffre la fame anche chi ha la possibilità di acquistare i prodotti a prezzi alti (l’inflazione venezuelana è di circa 700 per cento secondo il Fondo Monetario Internazionale o di 300 per cento secondo il governo venezuelano) perché il cibo non si trova. Da quando il prezzo del petrolio è crollato, l’inflazione è salita alle stelle e il governo ha messo il tetto ai prezzi di prima necessità, non si produce nulla e nemmeno si importa. La famiglia di Alison, per esempio, sopravvive perché da decenni ha coltivato la terra e riescono a mangiare patate, pomodori e mais. Nel resto del Paese è carestia.

NON CI SONO PIÙ MANGHI    

Susana è un ingegnere chimico di 60 anni. Per anni è stata responsabile di piattaforme di un’impresa multinazionale che operava in Venezuela, Halliburton. Lei, nonostante professionalità ed esperienza, patisce la carestia. È dimagrita circa 15 chili negli ultimi mesi perché non trova il cibo.

IL RAGAZZO DELL’IGUANA

Le proteste in Venezuela sono trasversali: giovani, vecchi, ricchi, poveri. Non è questione di politica, di socialismo o di capitalismo, ma di fame e mancanza di cibo, medicine e sicurezza. Se chi ha i soldi non può praticamente mangiare, cosa resta per chi è più debole e sfavorito? Proprio quelli a cui il governo di Hugo Chávez e Nicolás Maduro promisero di proteggere con il modello del Socialismo del XXI secolo.

Alejandra Sarmiento è una giovane instagramer venezuelana. La settimana scorsa ha raccontato di avere incontrato un ragazzo sulla riva del fiume-cloaca Guaire di Caracas: “Ho pensato che forse mi voleva derubare, ma comunque mi sono avvicinata per fargli una foto. Aveva in mano un’iguana. Gli ho chiesto se era una sua mascotte. ‘No, è il mio pranzo’. Gli ho detto che mi avevano raccontato che sa di pollo, che per oggi era meglio lasciarla stare”. Alejandra ha regalato al ragazzo del fiume due scatole di acciughe e una piadina di riso. “Sa di cartone, ma meglio dell’iguana”, ha detto il giovane. “Ho pensato di spiegargli quanto è pericoloso essere in contatto con quelle acque contaminate – racconta Alejandra – ma ho preferito vedere la sua gioia mentre mangiava. Avete ancora dubbi di lottare? Perché io non ne ho”.

Venezuela, viaggio nell’incubo socialista. Seconda parte: alla ricerca del cibo

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