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Nel film capostipite, Il presagio (Omen, Richard Donner,1976), oramai assunto nell’olimpo del genere «horror soprannaturale» (come lo classificano gli esperti), conosciamo, sin dalle prime inquadrature, l’ambasciatore americano a Roma, Robert Thorn (un posato Gregory Peck). È seduto addolorato su una panca, in penombra, in un corridoio di una clinica cattolica. Sua moglie ha da poco partorito il loro primogenito, purtroppo morto. Ella lo ignora. Il marito non sa come dirglielo. Un oscuro prete, accanto a lui, in piedi, ascolta il suo tormento e gli propone la sostituzione con un neonato appena nato, senza genitori. La madre «è morta mentre lo partoriva». Tutto è accaduto qualche minuto prima: alle ore sei del pomeriggio del 6 giugno (ossia 666: data che lo spettatore ha letto in sovraimpressione, mentre Thorn, in auto, con tanto di autista, stava raggiungendo di corsa la clinica).

Thorn, per far felice la moglie, accetta e tiene il segreto per sé. Dopo qualche mese giunge una promozione per lui: sarà ambasciatore a Londra. Per la famiglia, padre, madre e il piccolo Damien, si profila una vita serena e piena di successi. Un giorno, in ambasciata, Thorn è costretto a ricevere uno sconosciuto ospite. È “padre” (ma è un diocesano), Brennan, proveniente da Roma. Appena nel suo studio, il prete, dai toni esagitati, gli ordina, “Si confessi e mangi il Corpo di Cristo e beva il Sangue di Cristo! Solo così potrà salvare suo figlio e lei! Ero a Roma quando lei prese Damien. Lui è figlio del demonio. Succederanno cose gravissime, disgrazie intorno a suo figlio!”. L’ambasciatore lo fa allontanare dalle sue guardie del corpo. Considera padre Brennan un esaltato.

Ma appena Damien compie sei anni, ecco le prime strane manifestazioni e le inspiegabili morti intorno al piccolo. La sua baby-sitter si impicca e si dà fuoco il giorno del compleanno di Damien, sul tetto della bella villa, davanti a tutti: famiglie e bambini, riuniti nel parco per la festa. Un altro giorno, durante l’avvicinamento della famiglia, in auto, verso una chiesa, per una cerimonia religiosa, il piccolo Damien manifesta un violento attacco isterico. Forti convulsioni, rapidamente gli sale la temperatura, suda, grida come un ossesso, (il montaggio alterna il dettaglio degli occhi verdi, terrorizzati, di Damien, con la croce sul tetto della chiesa), costringendo la famiglia a fare inversione di marcia e tornare indietro. Altro evento. Accompagnato dalla sola mamma, per una visita in un zoo-parco inglese, con animali esotici, tutti i babbuini prima appaiono spaventati dallo sguardo di Damien, poi reagiscono assalendo l’auto con all’interno madre e figlio: la donna terrorizzata, a fatica accelera e fugge via. Sono alcune scene iniziali del film di Richard Donner, del 1976, che ci tornano in mente.

Ma come tutto ciò ebbe inizio? Come mai Damien è figlio di un ambasciatore? Ecco che la regista Arkasha Stevenson, su soggetto di David Seltzer, ce lo racconta in Omen. L’origine del presagio (2024), appunto prequel del testé ricordato Omen. Al quale seguirono: La maledizione di Damien (1978), Conflitto finale (1981), Omen IV, Presagio infernale (1991), Il presagio (2006) e Damien (2016).

Roma, 1971. In un confessionale di una chiesa in restauro, padre Brennan riceve la confessione di un altro padre, Harris: negli ambienti ecclesiastici corrotti si sta pianificando di fare nascere l’Anticristo con l’aiuto del demonio. Questo progetto è portato avanti all’interno di un orfanotrofio. «Deve fare qualcosa per impedirlo». Dopo l’incontro, i due escono dalla chiesa e si separano. Mentre padre Harirs si allontana, sul viottolo, da una impalcatura, cade un tubo che lo uccide, spaccandogli la testa.

La città eterna, nello stesso tempo, è attraversata da continue dimostrazioni e scioperi di studenti e operai. Siamo nel post-sessantotto. Seguiamo l’arrivo della bella novizia Margaret (Neil Tiger Free), dalla Pennsylvania, a Roma, per «prendere il velo», in un ordine di suore (non definito) che si occupa di bambine orfane. Il convento, stranamente, è dotato di una sala medico-chirurgica in cui si aiutano le ragazze madri a partorire o, a seconda dei casi, ad abortire (la questione è volutamente lasciata in sospeso). Stevenson ci mostra, durante un parto, accanto al volto straziante e alle grida di una partoriente, un dottore dal volto espressionista (citazione del Nosferatu di F.W. Murnau), aiutato da suore infermiere e ostetriche dalle espressioni sadiche, tutto all’interno dei dettami iconici dell’horror. Inclusa la stessa sala chirurgica: infatti oltre alla lampada professionale, al centro, lo stanzone è illuminato, tutto intorno, da candelabri con candele accese. Insomma, sala operatoria in versione cripta demoniaca.

Il racconto è davvero lontano da una minima verosimiglianza. Margaret, giunta a Roma, ha un autista al suo servizio. Vive nel convento ma anche in un appartamento privato, con una sua futura consorella spagnola, Luz. Margaret porta il velo e calza scarpe con i tacchi. Luz la convince ad andare in discoteca con lei, prima di prendere il velo, «così conoscerai ciò che lascerai per sempre». Le fa indossare un abito attillatissimo, con tanto di scollo super profondo, modello impensabile negli anni Settanta (per quanto il costumista Paco Delgado attesti di essersi «ispirato a Yves Saint Laurent anni Settanta»).

Il cardinale Lawrence (un perfetto mellifluo e perfido Bill Nighy: allusione allo scrittore inglese D. H. Lawrence, che introdusse nella letteratura primo Novecento il tema del sesso e dell’infedeltà coniugale?) è colui che ha cresciuto, sapremo dopo, Margaret in un orfanotrofio americano, e oggi l’ha chiamata a Roma per farla diventare suora. Margaret nota in questo orfanotrofio delle incongruenze circa l’educazione delle bambine. Per esempio, vi è una stanza buia dove rinchiudere quelle “cattive”, come Carlita (una ragazza di undici anni, ritenuta a torto mentalmente malata); gli strani parti che si susseguono in camera operatoria; il comportamento mefistofelico delle suore. Poi, l’improvviso e assurdo suicidio di una di esse. Siccome tenta di protestare e capire, interviene il suo “benefattore” a rassicurala, il vescovo Lawrence. Nel frattempo è stata rintracciata da Brennan che le chiede di aiutarlo a trovare, in un probabile archivio segreto del convento, dei documenti che provino la nascita di neonati con il 666 stampato sulla pelle, per bloccare il progetto diabolico del vescovo Lawrence.

Ma il vescovo, in un colloquio con Margaret, le spiega, con la dovuta calma e finta carità, che la società odierna va «verso la totale secolarizzazione. Scioperi proteste, chiese vuote. La Chiesa cattolica è divisa: tra tradizionalisti e innovatori. Per questo c’è bisogno dell’Anticristo, secondo gli innovatori. Quando sarà nato e avrà pieno potere, tutti avranno paura e si tornerà a pregare e le chiese si riempiranno nuovamente» (Sic!). E Margaret è quella madre destinata a dare alla luce l’Anticristo, dopo che ella si sarà accoppiata con il demonio-bestia (nel film sono inquadrati solo gli artigli e la mostruosa lunga lingua che lecca il volto terrorizzato di Margaret).

Ormai ella non può più uscire dal convento. Bloccata su un letto di contenzione, è costretta ad accoppiarsi con il demonio-bestia. Poche ore la sua pancia si gonfia rapidamente, e partorisce un grande involucro ovale: aperto dalle suore infermiere, contiene due gemelli. Un maschio e una femmina.

Riacquistate le forze Margaret si ribella, brandendo un bisturi, uccide Lawrence che tentava di disarmarla, e cerca la fuga con i due figli. Nella colluttazione con le suore, il maschio le viene sottratto. Rimasta ferita, le suore incendiano il convento per liberarsi di Margaret e cancellare ogni traccia degli aborti lì commessi. Margaret però riesce a sfuggire alle fiamme, aiutata dalla ragazza Carlita, portando in salvo anche la neonata bambina.

Anni dopo, siamo in una casa di montagna. Si avvicina, sotto la neve, un invecchiato padre Brennan: lei lo accoglie sul pianerottolo della villetta in legno, con un fucile spianato. Vuole essere lasciata in pace. Padre Brennan le dice: «Il bambino vive, si chiama Damien, ti verranno a cercare per ucciderti». Fine. Qui si aggancia Il presagio del 1976. Un altro oscuro prete ha evidentemente portato il piccolo Damien, in quel giorno (nato il 6/6/6), in una clinica cattolica romana, dove la moglie dell’ambasciatore Thorn, come abbiamo visto, sta partorendo. Il cerchio si chiude.

Naturalmente Omen. L’origine del presagio (The First Omen, 2024), sprigiona, tra diverse incongruenze di racconto, un suo fascino horror cui il pubblico non educato alla dottrina cattolica cede facilmente. Credere che per riportare la fede vi sia bisogno dell’Anticristo, è come dire che per guarirmi dal prurito fastidioso al piede lo tagli anziché curare il pizzicore. Vi è poi il motivo, risalente alle origini delle religioni, tipicamente fantastico, della maternità ottenuta dall’accoppiamento di un animale deificato con una donna, qui nella variante del demonio-sciacallo.

Il soggetto, sceneggiato dalla stessa Stevenson insieme a Tim Smith e Keith Thomas, soffre delle semplificazioni tipiche dei prodotti hollywoodiani quando affrontano la cultura cattolica e la storia europea senza uno studio attento. Brennan, al corrente di tale demoniaco progetto, è un sacerdote esageratamente esaurito, barricato in casa, istericamente impaurito, che non chiede aiuto ad altri sacerdoti o a vescovi. Il mondo cattolico “sano” è del tutto assente dalla sceneggiatura. Brennan non tenta di cercare né un giornalista né gli organi di polizia. La ricostruzione scenografica degli esterni “storici” è approssimativa (per creare l’atmosfera degli anni delle contestazioni di piazza, Stevenson mette su dei cortei macchietta; la scritta “Polizia” sulla campagnola ribaltata e incendiata dai dimostranti ha un font sbagliato); non vi sono giornali d’epoca; né mercati e negozi filologicamente ricostruiti; non si ascolta la parlata romanesca. È una Roma improbabile, irreale, come la immagina un turista da lontano, prima dell’avvento della televisione. Infine, la vita da carcere dell’orfanotrofio, esageratamente sadica, alla Dumas, che offende molti ordini di religiose dediti da secoli all’educazione, non si sa come sia sfuggita ai sospetti delle autorità religiose e civili.

Insomma, un racconto in cui tutto è risolto dal minuscolo punto di vista di un fanatico gruppetto di esaltati. Molti spettatori, nel mondo, credono però sia questo il cattolicesimo. Infatti, Omen. L’origine del presagio, in un mese, ha toccato i 50 milioni di dollari. Eccolo il “miracolo” dell’Anticristo: in attesa che le chiese si riempiano di nuovo, fa arricchire ambiziosi sceneggiatori «facendo parlare di sé a sproposito», direbbe don Gabriele Amorth. Uno che il demonio reale lo conosceva.

 

Omen, l’origine del presagio. Quando il demonio fa incassare

“Omen. L’origine del presagio” (Arkasha Stevenson, 2024), prequel della saga “Omen”, dal soggetto pastoralmente improponibile, con una ambientazione storica approssimativa, grazie però al bisturi e al demonio-bestia, è un horror debole ma commercialmente accattivante. Ha già raggiunto 50 milioni di dollari in un mese. La recensione di Eusebio Ciccotti

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