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Martedì pomeriggio in una stanza riservata della diplomazia emiratina, ad Abu Dhabi, si sono incontrati Fayez Serraj e Khalifa Haftar, ossia il capo del governo che l’Onu sta da oltre un anno cercando di implementare come vettore per la pacificazione della Libia, e il suo principale oppositore.

ASPETTI DI FORMA (E DI SOSTANZA)

Questo genere di incontri non è comune, e per questo probabilmente è un passo importante verso la stabilizzazione libica. Anche gli aspetti estetici contano: come fa notare Rolla Scolari sulla Stampa, l’unica foto diffusa dopo il meeting ritrae entrambi i leader in abiti formali. Aspetto interessante considerando che Haftar s’è costruito intorno una narrativa di forza dipingendosi come il generale (freelance) che tre anni fa lanciò in modo indipendente un’operazione militare per liberare la Libia dal terrorismo. Alla guida di una milizia che via via si è ingrossata, con l’ambizione di farsi chiamare Lybian National Army, ha poi esternato le proprie mire egemoniche sul paese. Dunque il fatto che il generalissimo, che ormai controlla la Cirenaica (con terminal petroliferi connessi), abbia accettato di dismettere la divisa da ufficiale coronato che di solito indossa è di per sé una notizia.

EGITTO ED EMIRATI

Sul vertice pare ci siano state forte pressioni esterne. Due mesi fa un incontro analogo era saltato al Cairo, con Haftar che aveva fatto fare anticamera a Serraj per più di un giorno. In quell’occasione il generale cirenaico aveva rifiutato anche un faccia a faccia con il presidente Abdel Fattah al Sisi – da cui le sue mire prendono ispirazione – e questo non è stato affatto digerito dagli egiziani, che da sempre sponsorizzano le istanze, o meglio le ambizioni, dell’Est libico. Il meeting di ieri è stato organizzato dagli Emirati Arabi, che insieme all’Egitto sono i due paesi che più di tutti gli altri hanno fornito appoggio, anche o soprattutto militare – e per questo ha ulteriore significato –, alle operazioni di Haftar, ma pare che sia stato anche fortemente voluto da altri attori esterni. In primis Stati Uniti e Russia.

RUSSIA

I russi si sono palesati a febbraio come sponsor del generale indipendentista, indebolendo la figura di Serraj, ma poi hanno iniziato un’operazione diplomatica non urlata incontrando anche i vertici dell’altra parte. Questa attività russa è un altro dei motivi per cui il meeting emiratino di mercoledì può essere considerato un punto importante del percorso di stabilizzazione. Secondo diversi osservatori – per esempio l’analisi dell’esperto di fondi sovrani Uberto Andreatta su Formiche.net – Mosca non ha nessun interesse nel creare ulteriore caos, ma anzi cerca di lavorare per appianare la situazione

STATI UNITI

Gli americani invece hanno sulla Libia una linea non facilmente delineabile. Con l’amministrazione Obama avevano spostato il proprio peso diplomatico alle spalle di Serraj, perché era la posizioni più comoda da cui controllare un doppio canale: mantenere attivi gli interessi regionali e combattere lo Stato islamico di Sirte. L’amministrazione Trump ha invece esplicitamente detto di non essere interessata a un ruolo sulla crisi, però durante la visita del presidente del consiglio italiano alla Casa Bianca è uscita la notizia secondo cui Washington ha intenzione di ospitare un incontro tra Serraj e Haftar – e forse quello di Abu Dhabi è stato un antipasto più informale al vertice statunitense. Mercoledì 55 congressisti democratici hanno inviato una lettera al presidente per chiedere la rimozione immediata di Sebastian Gorka dal circolo dei consiglieri del West Wing. Gorka, accusato di aver contatti con ambienti razzisti, probabilmente verrà fatto fuori da Donald Trump, e la sua testa offerta in cambio di qualche concessione in materia di fondi federali: il consigliere ha una linea pro-Haftar (detto tagliando con l’accetta, ndr), ed è colui che, secondo il Guardian, i primi di gennaio propose ad alcuni rappresentati europei un piano di partizione della Libia in tre aree, disegnandolo su un tovagliolo – sul giornale inglese Mattia Toaldo, italiano esperto internazionale di Libia, aveva commentato: “Questa è una cartina di tornasole di quanto si sa sulla Libia. Se l’unica cosa che si sa è che è stata divisa in tre, si dimostra di essere all’oscuro circa la situazione in Libia”. (Se il completo formale di Haftar è un’immagine che parla meglio di varie analisi, anche la possibile rimozione di Gorka può diventarlo).

ELEZIONI E MILIZIE

Al momento, complice anche un’attività di raccordo spinta dalla diplomazia italiana (che probabilmente è il Paese che ha più interesse nella stabilizzazione libica, sia per ragioni economico/energetiche, sia per le questioni connesse ai flussi migratori, e ha già facilitato un incontro tra i rappresentanti delle due parti), i paesi che sostenevano Haftar sembrano essersi allineati verso la costruzione di un percorso di pace, anche nell’ottica geopolitica di creare un quadro sistemico tranquillo nel Mediterraneo. Egitto ed Emirati Arabi stanno mollando la presa militare, la Russia sta trattando con entrambe le parti, e per questo il generale si trova costretto a cambiare strategica. Haftar potrebbe accettare un ruolo all’interno del Lybian Politcal Agreement, l’accordo di riunificazione siglato sotto egida Onu nel dicembre 2015. Secondo quanto noto, dalla riunione di mercoledì è uscita una linea condivisa che ruota attorno a due punti. Primo, lo scioglimento delle milizie e la costruzione di un esercito (alcune milizie dovrebbero poi essere inquadrate come gruppi terroristici: quali? E ancora: Haftar avrà un ruolo da comandante delle forze armate?). Secondo, ricostruzione del Consiglio presidenziale e avvio dei lavori che porteranno a elezioni entro il 2018. Questo secondo passaggio sarebbe un emendamento all’Lpa che permetterebbe ad Haftar di partecipare alla corsa elettorale candidandosi a presidente. Il problema è che sia lo scioglimento dei gruppi (politici) combattenti, sia l’allargamento dei poteri concessi ad Haftar, potrebbero essere osteggiati dalle forze occidentali (le milizie tripoline e misuratine che sostengono il piano Onu senza troppa convinzione), e bloccare le trattative.

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