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Giovedì sera un servizio di Antonino Monteleone per Piazza Pulita su La7 ha messo a fuoco un tema su cui da qualche mese i politici fanno campagna elettorale. Esiste un business delle Ong dietro al soccorso dei migranti nel Mediterraneo? Da inizio anno ne sono stati soccorsi ben 37.000: il 20 aprile La Stampa aveva ipotizzato che ci fosse una regia dietro agli sbarchi record. La baruffa politica divampa. Il servizio di Piazza Pulita invece ha preferito parlare di fatti: il giornalista di Askanews Adib Fateh Ali ha chiamato uno scafista libico per farsi spiegare come funzionano i viaggi in mare.

Il sospetto che non tutte le Ong fossero votate esclusivamente al salvataggio dei migranti nel canale di Sicilia era venuto anche a Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. In un lungo rapporto di febbraio dal titolo “Risk analysis for 2017”, dove, a differenza di quanto ha postato Di Maio sulla sua pagina facebook, non c’è neanche l’ombra del termine “taxi”, si scrive però che il lavoro delle Ong ha “l’involontaria conseguenza di un aumento dei viaggi della speranza”. Già da qualche mese la polemica era diventata virale grazie al video di Luca Donadel, uno studente torinese di 23 anni, che aveva tracciato dal sito marinetraffic.com il percorso delle navi delle Ong nel Mediterraneo: quasi nessuna passava per lo Stretto di Sicilia, nella maggioranza dei casi le imbarcazioni si spingevano a poche miglia dal confine libico. I dubbi che qualcuna delle Ong lucri sul traffico dei migranti non possono allora essere confinati allo sciacallaggio politico.

Il giornalista Fateh Ali ha contattato con una videochiamata un trafficante di vite umane di Zuara fingendo di avere una famiglia in partenza per l’Italia. L’interlocutore risponde alle domande con serenità: “L’unico problema è l’ingresso in Libia, poi arrivati qui a Zuara tutto filerà liscio”. Lo scafista ha anche una sua pagina facebook, le foto sul profilo richiamano con ironia amara un’agenzia di viaggi di lusso. Lì posta immagini delle barche, dei “clienti” giunti a destinazione e coccolati dai soccorritori, scatti di sorrisi e abbracci di chi ce l’ha fatta. Il piano sembra semplice: arrivati a Zuara, dopo aver ricevuto il money-transfer di 3000 euro, i suoi famigliari saranno come “un pegno” nelle sue mani. Tempo qualche giorno, poi si partirà da Sabrata su una barca di legno per poi fermarsi dopo qualche miglio al confine marittimo con la Libia: lì si potrà chiamare la “signora Nawal” che avviserà “Medici senza frontiere” e manderà i soccorsi. Conosciuta come “l’angelo dei migranti”,

Nawal Soufi è una nota attivista italo-marocchina che su Facebook assiste i migranti del Mediterraneo. Contattata al telefono da Fateh Ali, si difende dalle accuse dello scafista: il suo telefono è pubblico come quello di tutte le Ong, e quando risponde alle chiamate si sentono urla e grida di aiuto mentre l’imbarcazione affonda, non la voce di un trafficante di uomini. Loris De Filippi, il coordinatore di “Medici senza frontiere”, critica la politica che ha voltato le spalle alle Ong e ora le usa per fare propaganda: “Perché dobbiamo farlo noi questo lavoro? Lo facciamo perché non c’è una risposta politica dello Stato”. Poi il risentimento verso un’Europa che, se si eccettuano le navi di Eunavformed e Frontex, per la questione migratoria ha fatto troppo poco: “Siamo indignatissimi con i 28 stati membri, in 2 anni non sono stati capaci di organizzare un sistema di soccorso per le vittime”.

Esiste un business delle Ong sui migranti dalla Libia? L'inchiesta choc di Piazza Pulita

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