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Alla fine come ai vecchi tempi “Bobo” e “Umberto”, dopo il “divorzio” sul caso Belsito, si ritroveranno insieme nella battaglia per riaffermare le “radici” nordiste della Lega formando un asse, di fatto, a sostegno di Gianni Fava, che ha già annunciato di voler sfidare Matteo Salvini alle primarie in salsa padana?  Va subito premesso che simmetricamente a quello che sta avvenendo nel Pd di fatto già si prevede anche al congresso di Via Bellerio un sicuro vincitore e cioè il leader attuale Salvini, “l’altro Matteo”, l’uomo che ha riportato la Lega a due cifre e che è ancora molto forte nel Carroccio.

E l’assessore all’Agricoltura della Regione Lombardia, guidata da Roberto Maroni, di cui è da sempre fedelissimo, sa evidentemente già in partenza che Salvini non gli passerà lo scettro alle assise fissate per il 21 maggio. Eppure, Fava, che ha intenzione di scendere in campo “per salvare le radici” leghiste e “tenere unito il partito” sembra, secondo un insistente tam tam, stia raccogliendo anche le simpatie del presidente e fondatore del Carroccio, Bossi, che non ha mai fatto mistero di essere fortemente contrario alla svolta della Lega nazionale di Salvini.  Tanto più dopo che il movimento “Noi con Salvini” non ha sfondato al Sud.

Non ci sono stati endorsement ufficiali per Fava neppure da parte del prudente governatore lombardo. Che però insieme con il suo omologo veneto Luca Zaia si sta battendo per il referendum per una maggiore autonomia fiscale delle due Regioni a trazione leghista. Un progetto, che, come fa notare a Formiche.net un autorevole esponente di Forza Italia, è evidente che “è oggettivamente destinato a rimettere l’accento sulla vocazione nordista della Lega che avrà bisogno di noi quando tra non molto si andrà alle elezioni in Lombardia”. Cosa che naturalmente farebbe molto piacere a Silvio Berlusconi, il quale così tornerebbe a ricalcare il vecchio schema del centrodestra a guida moderata, stemperando le ambizioni alla premiership di Salvini, destinate a rafforzarsi sulla scia della performance francese di Marine Le Pen, che comunque andrà ha già ottenuto un forte risultato.

Comunque sia, quello che accade nella Lega ricorda un po’ lo schema tattico di quello che è in atto nel Pd, dove Renzi ha due sfidanti (Andrea Orlando e Michele Emiliano) i quali sanno già in partenza di perdere, ma si sono candidati alle primarie con il preciso obiettivo di contenere la leadership renziana. Praticamente quello che appare un po’ lo stesso obiettivo della discesa in campo di Fava come outsider contro Salvini. Ma la Lega, che Bossi fondò sullo schema delle vecchie sezioni del Pci e che Maroni anche recentemente ha definito, “l’ultimo, vero partito leninista”, ha meccanismi interni più solidi e ferrei di quelli del Pd.

Ad esempio, particolare decisivo,  per raccogliere le firme necessarie a candidarsi alle primarie occorre affrontare un percorso non facilissimo: si firma solo nelle sedi del Carroccio e occorre raccogliere un minimo di adesioni distribuito su ogni provincia. E negli ultimi giorni sembra sia già partito il contropiede dei salviniani volto a complicare la candidatura dell’assessore regionale lombardo. Una dura denuncia dello stesso Fava fa venire allo scoperto lo scontro in atto: “Le regole – ha detto – non valgono per tutti, la raccolta firme sta procedendo con difficoltà enormi, c’è un campionario di scorrettezze nei miei confronti che sta superando ogni limite. Non penso che Salvini abbia paura di me…”.

Anche se già in partenza Fava stesso sa bene che non vincerà, è evidente che il suo progetto e cioè quello di tornare alla Lega delle origini è in rotta di collisione con quello salviniano di fare del Carroccio una forza nazionale in salsa lepenista il cui leader è legittimato ad aspirare alla guida del centrodestra. E se su Fava si formasse di fatto un asse, anche se non dichiarato, tra Maroni e Bossi, per Salvini, pur destinato ad essere rincoronato segretario, non sarebbe affatto un segnale gradito.

Altra cosa fu per Salvini la sfida alle primarie, che lo incoronarono segretario federale, da parte di Bossi, il “padre” della Lega, che il leader  del Carroccio visse come un atto di testimonianza.

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