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Sostiene Mediobanca: l’italianità delle Generali? Siamo noi a garantirla, non lo abbiamo sempre fatto? Con il nostro 13% più gli azionisti italiani possiamo mettere insieme un buon pacchetto di mischia (Philippe Donnet, l’ad della compagnia, ex giocatore di rugby, apprezzerebbe). Bene, ma è realistico? Intanto a piazzetta Cuccia hanno sempre detto e ripetuto che vogliono scendere dal 13 al 10%, Magari ci stanno ripensando, ma quel che Alberto Nagel, l’ad di Mediobanca, ha sempre comunicato al mercato non è la volontà di fare l’azionista di riferimento (per usare una definizione molto cara ai francesi) del Leone di Trieste con tanto di piano industriale, bensì di ritirarsi progressivamente lasciando spazio a una vera public company.

Non solo. Gli altri azionisti non sembrano impegnati in un progetto di potenziamento del loro ruolo strategico. Leonardo Del Vecchio che ha il 3% ha portato a Parigi la Luxottica. Molti hanno scritto che è una genialata, soprattutto in vista della successione, tuttavia appare strano che, chi compra una compagnia diventando l’azionista di maggioranza, divida pariteticamente la gestione con chi viene comprato. In genere una governance del genere la troviamo quando anche la proprietà è divisa a metà. Insomma, non tutto è così come appare. L’operazione è stata condotta da Mediobanca, quindi è chiaro con chi starebbe Del Vecchio semmai si dovesse schierare. In ogni caso i suoi progetti sembrano molto lontani dalla difesa delle Generali. Quanto a Caltagirone con il suo 3,5%, ha appena venduto la sua quota dell’Acea, la municipalizzata romana, a Suez in cambio di un pacchetto che lo rende azionista del gruppo francese. Honi soit qui mal y pense, ma a pensare male talvolta ci si azzecca.

Che dire della De Agostini? Possiede poco più dell’un per cento anche se Lorenzo Pelliccioli ha spesso giocato un ruolo importante nel licenziare e assumere presidenti e amministratori delegati, soprattutto per conto di Mediobanca. Oggi la famiglia Boroli, che controlla il gruppo, pensa più a competere con Trump nei Casinò di Atlantic City che con Intesa per le Generali. Se ci fosse una proposta interessante, se l’offerta di scambio avesse un buon premio per gli azionisti, non è difficile capire che il supposto nucleo duro si scioglierebbe come miele nel latte.

E Mediobanca? Dal suo quartier generale londinese, Nagel ha lavorato per far cambiare pelle all’istituto, per farlo uscire dal cono d’ombra di Enrico Cuccia, a 17 anni dalla sua morte. Sciogliere gli intrecci morganatici, liberarsi di quelle partecipazioni sensibili, ma non più strategiche, fare banca guardando più al modello Goldman Sachs che a quello che l’ha resa grande in Italia (anche se resta molto piccola sul mercato finanziario internazionale). E adesso dovrebbe fare marcia indietro? E’ credibile, è realistico?

Ci sarebbe una soluzione salomonica: un accordo tra Intesa e Mediobanca per creare quel nocciolo duro che oggi non esiste e mettere in sicurezza le Generali, trovando anche sinergie industriali nelle assicurazioni o nella gestione dei patrimoni. Potrebbero esserci problemi di Antitrust, sarà da vedere e discutere nel merito. Ma l’ipotesi è del tutto improponibile perché tra Nagel e Carlo Messina, il capo azienda di Intesa Sanpaolo, non corre buon sangue (la contesa per il Corriere della Sera, vinta da Messina, è finita a carte bollate).

E allora? Non sappiamo come verrà rotto ma lo stallo attuale durerà poco, il tempo di mettere a punto l’offerta e calcolare le probabilità che vada in porto. Messina si è molto esposto ironizzando persino sui manager che parlano francese, ha il sostegno di azionisti chiave come la fondazione Cariplo guidata da Giuseppe Guzzetti e la benedizione dietro le quinte da parte del suo mentore Giovanni Bazoli che aveva già proposto alle Generali un’alleanza quando era ancora presidente operativo di Intesa. Mediobanca finora è apparsa sorpresa, colta in contropiede, smarrita. Lo stesso il suo azionista numero uno, cioè Unicredit in proprie faccende affaccendato (deve trovare 13 miliardi di euro per aumentare il capitale). Aspettiamo tutti le sue mosse, ma quante divisioni ha Nagel? Nello scenario post Brexit e post global nel quale ci si trova a operare oggi, non è che a piazzetta Cuccia, dove tutti hanno imparato un eccellente inglese britannico, adesso saranno costretti ad adottare il francese (magari con l’inflessione bretone di Vincent Bolloré)?

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