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PER IL SI’

Roberto Bin (Diritto costituzionale Università di Ferrara)

“Il maggior pregio è di togliere di mezzo il c.d. bicameralismo perfetto. Che – al contrario di quanto si dice anche in talune sedi «scientifiche» – non è affatto un lascito dell’Assemblea costituente. Questo è uno degli equivoci più frequenti: nei punti più importanti la riforma costituzionale non stravolge affatto il testo originale della Costituzione. Ciò vale non solo per il Titolo V, già riscritto nel 1999-2001, ma anche per il Senato. La riforma costituzionale del 1963  –  e prima la prassi dello scioglimento anticipato  –  ha eguagliato la durata del mandato del Senato, originariamente di sei anni; per di più il sistema elettorale introdotto dalla legge ordinaria ha sterilizzato l’opzione per il sistema maggioritario, estendendo di fatto anche al Senato il sistema proporzionale; infine l’elusione dell’obbligo di istituire le Regioni ordinarie ha fatto perdere di significato la previsione che il Senato fosse eletto «su base regionale». Leggendo gli atti della Costituente è facile comprendere come il «bicameralismo perfetto» non fosse affatto un’opzione dei costituenti, ma una scelta compiuta da quella maggioranza di centro-destra che Calamandrei accusava di ostruzionismo costituzionale e rafforzata dalla prassi istituzionale dei decenni successivi”.

Beniamino Caravita (Istituzioni di diritto pubblico La Sapienza)

“Il pregio principale della riforma è dato dal superamento dell’anacronistico bicameralismo paritario e perfetto, secondo un modello di – sia pur non ancora chiaramente delineata – rappresentanza dei territori: ne trarrà vantaggio il rapporto fiduciario fra Governo e Parlamento e l’iter di approvazione delle leggi. Sicuramente apprezzabile è la razionalizzazione dei poteri legislativi delle Regioni, che è avvenuta in attuazione delle indicazioni della recente giurisprudenza della Corte costituzionale sul Titolo V: nell’elenco dell’art. 117, introdotto dalla riforma del 2001, vi erano alcune materie, la cui attribuzione alla potestà legislativa concorrente  –  pur se originariamente corrispondente all’idea di coinvolgere le Regioni nelle decisioni relative al sistema delle infrastrutture nazionali – si è quasi subito rivelata erronea. Il superamento della legislazione concorrente  –  pur scontando l’ambiguità della introduzione della categoria delle norme generali – potrà dare qualche risultato positivo. Una valutazione positiva deve essere data all’abolizione del Cnel, rivelatosi negli anni ente totalmente inutile; all’introduzione della corsia preferenziale per le proposte legislative del Governo, quale strumento di attuazione dell’indirizzo politico; alla costituzionalizzazione dei limiti del ricorso alla decretazione di urgenza; alla rimodulazione di alcuni profili del referendum abrogativo”.

Stefano Ceccanti (Diritto pubblico comparato La Sapienza)

“La riforma risponde ai due requisiti essenziali: 1) impedire, grazie al rapporto fiduciario limitato alla sola Camera che ha una chiara preminenza nella funzione legislativa, il ritorno alla paralisi di sistema vista in ultimo nel 2013 in forma chiarissima, ma che già si era preannunciata nella parziale difformità di maggioranze tra Camera e Senato del 1994, del 1996 e del 2006; 2) regionalizzare il Senato puntando per tale via, che supera la separatezza dei legislatori, come già tentato da Mortati alla Costituente, a ridurre i conflitti davanti alla Corte”.

Salvatore Curreri (Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università Kore di Enna)

“Oltre all’improcrastinabile riforma del bicameralismo, la riforma va apprezzata perché a fronte dei maggiori poteri conferiti al continuum Governo – maggioranza parlamentare, rafforza quelli dell’opposizione, sia dentro che fuori dal Parlamento, nella condivisibile convinzione che in una democrazia parlamentare maggioritaria i veri contrappesi politici sono da ricercarsi nei poteri attribuiti alle forze politiche che, all’interno della Camera dei deputati, contrastano l’azione di governo, e all’esterno si oppongono ad essa tramite gli istituti di democrazia diretta. Da qui la dignità costituzionale attribuita allo statuto dell’opposizione nella Camera dei deputati, la rivitalizzazione dell’iniziativa legislativa e del referendum abrogativo, e l’introduzione «di referendum popolari propositivi e d’indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali», così da mantenere il sistema nel necessario equilibrio. In tal senso, infine, va inteso l’ampliamento dei termini di promulgazione per i disegni di legge di conversione di decreti-legge”.

PER IL NO

Paolo Caretti (Diritto costituzionale Università degli Studi di Firenze)

“Molto pochi. Citerei la nuova disciplina della decretazione d’urgenza e l’arricchimento della tipologia referendaria”.

Fulco Lanchester (Diritto costituzionale La Sapienza)

“Formulo un giudizio sintetico sul contenuto dell’innovazione costituzionale in oggetto. L’importanza in senso formale delle modifiche è evidente. Il 35% degli articoli della Cost. sono coinvolti nella revisione e, addirittura, il 57,5% della seconda parte. Dal punto di vista sostanziale nel d.d.l. costituzionale RenziBoschi vi sono, senza alcun dubbio, obiettivi pluridecennali raggiunti (ad esempio l’abolizione della fiducia bicamerale), ma anche confusione (soprattutto nel procedimento legislativo) e pericolose sconnessioni. Il collegamento dell’innovazione costituzionale con la nuova legge elettorale evidenzia un apparente desiderio di stabilità che rischia di irrigidire oltremodo la dinamica sistemica, senza assicurare effettivamente la governabilità né le regole di base che garantiscano gli standard della contesa democratica. In questo quadro, la richiesta di formulare un giudizio sul concorso delle Camere nella riforma (costituente o di revisione) risulta viziata dall’impostazione della domanda, implicitamente favorevole al legislatore monopolista. Nei casi normali la decisione costituente è presa da una Assemblea ad hoc, mentre quella di revisione non dovrebbe essere certo promossa da un Governo che si basa su Assemblee legittimate, ai sensi della sentenza n. 1/2014, solo ad attività ordinarie e limitate nel tempo. Se non fossimo in un ambito basato sul fatto compiuto e nel quadro di una crisi politica ed economica evidente, si potrebbe – dunque – rispondere che tutto ciò appare particolarmente discutibile”.

Barbara Pezzini (Diritto costituzionale Università degli Studi di Bergamo)

“Può forse essere considerato un pregio il fatto che, a settant’anni di distanza dalla «prima volta» delle donne italiane al voto e oltre un decennio dopo la modifica degli artt. 117 e 51, il progetto di revisione costituzionale arricchisca ulteriormente il quadro delle disposizioni di principio che danno atto di una «questione di genere» perdurante in materia elettorale. L’art. 55 richiede che le leggi elettorali delle Camere promuovano «l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza» ed analogamente l’art. 122 affida alla legge statale in materia di elezioni regionali «i principi fondamentali per promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza». La legge elettorale del Senato e la legge statale per le elezioni regionali saranno leggi bicamerali, con oggetto proprio e modificabili solo in forma espressa. Considerato che la riforma prevede un ricorso preventivo di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali di Camera e Senato, è interessante interrogare la novità degli articoli 55 e 122 come parametri di costituzionalità, chiedendoci quale sia la portata normativa ulteriore di questi articoli e cosa si aggiunga alle norme già presenti in Costituzione. Il riferimento alla presenza equilibrata dei due sessi «nella rappresentanza» impone di guardare ai risultati e non solo alle misure tendenti verso un certo fine, rendendo più stringente l’impegno di promozione; le leggi elettorali diventano un ambito specifico di intervento costituzionalmente dovuto, in cui è indispensabile prevedere interventi idonei a promuovere la presenza equilibrata di uomini e donne. Se poi ci chiediamo cosa debba intendersi per «equilibrio», possiamo ricordare che per il Consiglio di Stato l’equilibrio di genere, anche se non definito quantitativamente da quote, ha acquistato il significato puntuale ed effettivo di «uguaglianza o sostanziale approssimazione all’uguaglianza» nella presenza dei due generi (sentenza n. 3670/2012)”.

Gino Scaccia (Diritto costituzionale LUISS Guido Carli)

“La previsione che solo la Camera dei deputati sia titolare della relazione fiduciaria con il Governo merita approvazione, perché dovrebbe fluidificare i meccanismi di funzionamento della forma di Governo statale, riducendo il rischio di impasse elettorale. Il venir meno del bicameralismo perfetto dovrebbe, inoltre, rendere più difficile il «gioco» dei gruppi di interesse organizzati, che nel passaggio del testo dall’una all’altra Camera hanno spesso trovato l’occasione per serrare le file ed esercitare un ruolo di interdizione rispetto a riforme sgradite (si pensi alle sempre rinviate e malcerte liberalizzazioni)”.

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