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Il presidente russo, Vladimir Putin, non avrebbe mai convocato i giornalisti delle principali testate internazionali per il lungo incontro di ieri pomeriggio, a latere del Forum economico internazionale di San Pietroburgo, se non avesse avuto un messaggio da inviare, se non avesse avuto necessità di alimentare la sua narrazione strategica, se non avesse voluto infiammare la propaganda. E quella necessità si era materializzata poche ore prima, quando era stato il ministero della Difesa di Mosca a confermare la veridicità delle immagini circolate in rete: alcuni obiettivi russi sono stati colpiti dall’Ucraina in territorio russo. I primi target raggiunti da armi occidentali (americane) dopo il via libera – su target specifici – che Kyiv ha ricevuto da Washington.

Putin deve tenere il punto per ragioni di credibilità interna innanzitutto. Deve cercare di rassicurare la popolazione che la situazione è sotto controllo – deve parlare a quella stessa collettività che da due anni crede che la Russia non sia impegnata in una guerra, ma in una “operazione militare speciale” a protezione dei russofoni dalla “giunta nazista” ucraina. Per farlo, deve alzare il livello della minaccia contro il nemico e allontanare lo spettro della guerra dal proprio territorio. Il “padrino” deve mostrarsi in grado di proteggere il suo clan. Non può rischiare di essere abbandonato, non può lasciare che la sua condotta apra alla paura.

”Stanno partecipando direttamente alla guerra contro di noi”, dice il presidente usando il termine “guerra” solo per fini vittimistici contro quei nemici. “Allora – continua – ci riserviamo il diritto di fornire le nostre armi a regioni del mondo per colpire obiettivi dei Paesi che lo fanno nei confronti della Russia. Ci penseremo, rifletteremo”. La minaccia non è diretta contro chi fornisce armi – nel caso quel sistema di like-minded occidentali che è sintetizzabile nella Nato. Putin non dice che Mosca contrattaccherà un Paese membro della Nato, o dell’Ue, ma che fornirà ad attori terzi le armi per colpirli.

Ed è un primo elemento su come la deterrenza occidentale funzioni: il presidente russo definisce “nonsense” colpire la Nato per Mosca. E d’accordo che prima dell’invasione su larga scala dell’Ucraina parlava di “nonsense” anche riguardo a un attacco a Kyiv, ma in questo caso c’è un fattore: la minaccia nucleare, l’extrema ratio, trova dall’altro lato una potenziale contro-minaccia (mai sollevata, perché la deterrenza non si esercita, è implicita). È un contrappasso logico, lineare, la posta in gioco è enorme. E però Putin sa che alzando certi spauracchi può far gioco su alcune leve interne alle democrazie occidentali, quelle che vanno dal pacifismo forzato (che non pensa alla “pace giusta”, ma alla pace ignobile) alla russofilia come effetto di un anti-occidentalismo (costantemente sfamato dalla disinformatja e dalle misure attive) o come interesse.

Putin insiste che certi tipi di arma usati contro la Russia non sono gestiti da Kyiv, gli ucraini diventano “strumentali”, e sono frutto di una volontà di attaccare Mosca. È la stessa narrazione, arricchita di articolazioni tecniche su controlli satellitari e gittata di certi missili, con cui il Cremlino e i suoi sodali – tra questi anche alcuni militari cinesi durante lo Shangri-La Dialogue dei giorni scorsi – hanno difeso l’aggressione. Quel “abbaiare” alle porte della Nato, come disse Papa Francesco, per Putin è stata la ragione che ha mosso l’attacco contro l’Ucraina: la Nato che accerchiava la Russia è ancora diffuso tra i discorsi pubblici di chi sostiene che occorre cedere, fermare la guerra subito costi quel che costi.

Il presidente russo ha accusato direttamente Londra per essersi messa di traverso durante le trattative del 2022 in Turchia, “eravamo pronti a firmare”, e addirittura sostiene che anche la fantomatica “denazificazione” era stata accettata da Kyiv: proxy narrativi che servono a sottolineare che la guerra procede per colpa dell’Occidente. Ma dimentica di dire che se smettesse di attaccare l’Ucraina e ritirasse le sue forze dai territori irregolarmente annessi già nel 2014, il conflitto finirebbe. In quel caso sì, subito: e sarebbe una pace giusta (sebbene Mosca dovrebbe poi comunque pagare per ciò che ha commesso). E invece, per lui la soluzione è che l’Occidente smetta di fornire armi all’Ucraina e “tutto finirà in massimo due o tre mesi”. Ossia: senza rifornimenti Kyiv sarebbe incapace di difendersi e costretta alla resa.

Niente di nuovo. Putin non rinuncia a ricostruire la storia e il presente a proprio piacimento, come sta facendo da tempo con l’obiettivo di inculcare quel revisionismo sia tra i suoi concittadini (primo dei fini del presidente) e poi tra gli osservatori esterni di Paesi terzi – che potrebbero essere interessati in qualche modo a comprare la sua propaganda. Per esempio, parla delle sanzioni e sostiene che il suo Paese si sia economicamente rafforzato, ma un report interno di Gazprom conferma che la prima azienda russa per fatturato è stata “devastata” (copyright Max Seddom) dalle misure che hanno seguito l’inizio della guerra.

Ultimo punto da menzionare, le interferenze elettorali: per Putin, i russi non hanno nessun interesse a interferire in Usa2024 o nelle elezioni Europee, con tanto di ramoscello di ulivo all’Italia dopo una domanda dell’Ansa. L’obiettivo è tentare di sfruttare le debolezze e le divisioni (d’altronde è evidente la disponibilità italiana alla propaganda russa dai dati di Meta che stanno circolando), perché per Putin la paura non è tanto la Nato, ma l’Unione europea. Ossia una democrazia funzionante ai propri confini, a cui potrebbero ambire anche milioni di russi, che vedono la loro democrazia disarticolata da un regime mafioso che si fa sempre più minaccioso.

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