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Il Washington Post ha rivisto il sondaggio prodotto insieme ad ABC che dava Donald Trump, il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, in vantaggio sulla sfidante democratica Hillary Clinton. Ora la dem è avanti di due punti: 47 contro 45 per cento.

C’È MAI STATO UN SORPASSO?

Il dato WaPo/ABC (considerato uno dei più affidabili) è stato ripreso con frenesia dai media (molto in Italia) perché rappresentava l’elemento di rottura su una continuità che ha visto Hillary sempre in vantaggio. “Sorpasso” era il termine preferito dai titolisti, ma nella realtà un sorpasso non c’è stato. Questo perché negli Stati Uniti non conta tanto la preferenza popolare quanto il numero di Grandi Elettori che un candidato riesce ad ottenere. Spiegazione: quando gli elettori votano in uno stato la loro preferenza finisce nel conto dei grandi elettori, che sono una sorta di rappresentati statali che poi a dicembre andranno a votare il presidente. I Grandi Elettori vengono vinti quasi ovunque (escluso il Maine e il Nebraska) con il sistema maggioritario, ossia chi tra democratici o repubblicani ottiene anche un solo voto di vantaggio in quel singolo stato si prende tutti i suoi rappresentati. Sono 538 in totale, e dunque per ottenere il quorum presidenziale ne servono 270: sono distribuiti in base alla popolazione, gli stati più popolosi ne hanno di più, per esempio la California ne esprime 55, l’Idoha 4. È per questo che le campagne presidenziali tendono a seguire delle dinamiche statali: se uno stato è quasi definitivamente deciso, per esempio la California (sulla base dei sondaggi Clinton è avanti da sempre, oppure l’Idaho, dove Trump potrebbe vincere con oltre il 19 per cento di margine), il candidato sfavorito difficilmente andrà a farci campagna elettorale. Nevralgici sono invece i cosiddetti “swing states”, quelli che possono cambiare colore e dunque decidere definitivamente un’elezione in bilico come questa. Un esempio: lunedì Barack Obama, che è un grande tiro elettorale per Clinton, sarà in New Hampshire, uno stato che assegna 4 Grandi Elettori e che è ancora in bilico – e potrebbe essere decisivo.

I CONTI

Si va di conto, dunque, per arrivare a 270. Attualmente secondo i sondaggisti di RearClearPolitics Hillary ne ha 226 (dato corretto, fino a du giorni fa era a 246, e poche settimana fa a 263) mentre Trump è fermo a 180; 132 i contesi. In bilico ci sono i grandi stati come la Florida (29 grandi elettori, per questi sabato Clinton era a Miami a un concerto di Jennifer Lopez) e la Pennsylvania (20), ma c’è anche un gruppetto di stati con poche unità che messi insieme possono anche fare parte della differenza – tra questi l’Iowa, con 6 Grandi Elettori, uno stato tra quelli in bilico dove Trump potrebbe vincere e ribaltare la linea democratica tenuta negli ultimi anni. Gli incastri sono parecchi, il margine è ancora ampio anche se pende tutto verso Clinton (esempio: ammesso che Trump riesca a spostare a sé gli indecisi di Ohio, Florida, Iowa e Nevada, raggiungerebbe 265 grandi elettori, un numero non sufficiente) e per questo gli ultimi cinque giorni di campagna saranno decisivi. La situazione attuale è in foto, chi vuole divertirsi con la calcolatrice può fare incroci e conteggi – per i più pigri, un po’ di conti li ha fatti il Post. (Nota alla foto, il colore più intenso indica margini più alti).

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SCENARI

Non c’è ancora tra i sondaggi considerati universalmente più attendibili uno che dia percentuali di vittoria maggiori per Trump, tutti propendono verso Hillary. Per esempio, le valutazioni di Nate Silver su FiveThirtyEight, considerate molto affidabili, danno Clinton probabile presidente al 66,2%, Trump al 33,8; per il New York Times le percentuali sono molto diverse, 85 contro 15 ma si tratta di numeri che variano di ora in ora. Il dato da considerare, semmai, è seguire il trend che vede le percentuali della democratica abbassarsi via via – ma il margine è ancora alto. I democratici dovrebbero più o meno raggiungere quota 293 Grandi Elettori (Obama nel 2012 ne ebbe 332) e ottenere un voto popolare del 48,4% contro il 45,4 di Trump.

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Nonostante questo, Trump ha – ed ha sempre avuto, ovviamente – ancora possibilità di vincere. Sono considerazioni politiche che vanno oltre i dati che attualmente lo danno perdente, e non sono legate a un questione che spesso viene sollevata soprattutto in Italia, roba tipo “i sondaggi non sono affidabili”. Di solito negli Stati Uniti lo sono – pur restando valutazioni empiriche e tutto può succedere – e lo stanno diventando sempre di più adesso, dopo mesi e mesi di taratura iniziata con le primarie. Nemmeno la possibilità che i Grandi Elettri ribaltino il voto finale, ossia provenendo da una vittoria democratica votino per il candidato repubblicano, per esempio, è uno scenario tanto possibile: non c’è un vincolo legale che gli impone il voto, è solo una questione di fiducia politica, ma sono state sempre insignificanti le rare violazioni. E allora, come potrebbe vincere Trump? Per esempio potrebbe succedere se i latinoamericani o le donne disertassero le urne, e questi comportamenti dell’ultimo minuto non possono essere previsti dai sondaggi. Ci sono però già dei dati, visto che in parecchi stati è da qualche settimana partito l’early voting, il voto anticipato che ha già coinvolto quasi 22 milioni di elettori, e questi non sono completamente confortanti per Hillary. Un articolo pubblicato dal New York Times in questi giorni racconta che nell’ultimo fine settimana l’affluenza degli elettori di colore in North Carolina è risultata in calo del 17 per cento rispetto al 2012 (il NC è uno stato in bilico, anche se tendenzialmente repubblicano il suo voto fu determinante per la prima elezione di Obama) – giovedì Clinton era proprio in North Carolina in un tour insieme a Bernie Sanders, ex concorrente democratico che dovrebbe affascinare proprio quella minoranza e il cantante Pharrell Williams. Forse tra gli indecisi o i poco convinti potrebbe pesare la riapertura dell’inchiesta federale sulle email di Clinton – è per questo contesto elettorale il presidente Obama è stato piuttosto duro con l’Fbi, “non si lavora su allusioni e informazioni incomplete” ha detto, ricordando la sensibilità del momento. Forse, ancora, i più fedeli repubblicani potrebbero andare a votare per il proprio candidato anche se non lo condividono appieno. Intanto ci sono 370 economisti di fama che hanno scritto una lettera aperta agli elettori, pubblicata dal Wall Street Journal, chiedendo di non votare Trump perché lui sarebbe “una scelta pericolosa e distruttiva per il paese”.

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