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La corsa alla segreteria del Pd si consumerà in poco meno di due mesi ma i tre candidati sono già ai blocchi di partenza. Pochi giorni fa Matteo Renzi e i suoi sfidanti, il ministro della Giustizia Andrea Orlando e il presidente della Puglia, Michele Emiliano, hanno depositato ufficialmente le firme di chi sostiene la loro candidatura e contestualmente la sintesi della propria mozione congressuale.

TESTI E NUMERI

Ma la vera sfida è tra Renzi che cerca la riconferma e Orlando, espressione della sinistra del partito che non ha seguito gli “scissionisti” bersaniani e dalemiani. Il favorito è l’ex segretario-premier che, attorno alla sua mozione, ha raccolto 37mila firme contro le 18mila di Orlando, mentre Emiliano ne ha presentate soltanto 6mila. Lo sfidante principale di Renzi è ovviamente Orlando che occupava la poltrona di Guardasigilli anche nel precedente governo e che ha sostenuto il sì alla riforma costituzionale. Allora, in cosa differiscono le due candidature? Ecco le due mozioni a confronto.

LE CITAZIONI

Quello che colpisce nella mozione del “candidato di sinistra” Orlando, intitolata “Unire l’Italia, unire il Pd” sono le citazioni iniziali del padre nobile della Dc, Alcide De Gasperi, di Papa Francesco e Abramo Lincoln. Renzi, invece, inizia con una feroce critica ai nuovi nazionalisti che avanzano in Europa e che potrebbero presto prendere il potere, a partire da Marine Le Pen in Francia. Per Orlando la preoccupazione maggiore è unire la sinistra e le forze di centrosinistra contro i populismi. “La destra vince perché divide il popolo, contrappone gli inclusi agli esclusi, gli italiani agli stranieri, una nazione all’altra. Noi vogliamo unire, e così vincere”, si legge nella mozione dell’ormai ex ‘giovane turco’ che si pone l’obiettivo di unire l’Italia andando a riconquistare anche il voto degli under 35 che il 4 dicembre scorso hanno voltato le spalle a Renzi votando in massa contro la sua riforma costituzionale.

COSA DICONO LE MOZIONI

Nelle sei pagine della mozione renziana si calca molto la mano sulla necessità di rilanciare l’Europa che resta “l’orizzonte strategico” per battere l’ideologia della “chiusura” e dei muri. “L’Unione Europea è il primo tentativo nella storia di creare un insieme sopranazionale in tempo di pace, senza armi e senza minacce, sulla base della libera adesione dei popoli. Ma purtroppo – sottolinea Renzi – negli ultimi anni, la miopia di una classe dirigente succube del pensiero tecnocratico ha ribaltato la percezione dei cittadini”. E aggiunge: “Per molti europei, oggi, l’Unione è diventata il problema, più che la soluzione”. Frasi che confermano la strategia adottata dall’ex premier negli ultimi mesi nei confronti di Bruxelles: carota e bastone.

ANALOGIE E DIFFERENZE SULL’EUROPA

E questo è forse uno dei pochi punti di contatto tra Renzi e Orlando: imprimere all’Europa una svolta economica espansiva perché “il coraggio di Mario Draghi non può bastare”, scrive il ministro che si spinge fino a chiedere una revisione del Fiscal Compact. Secondo l’ex premier, invece, bisogna creare “un modello con due livelli di governo ben distinti, uno federale con un adeguato bilancio da gestire e uno rinviato alla responsabilità degli Stati, singoli o in forma associata nel Consiglio europeo” così da europeizzare le elezioni nazionali di ogni singolo Stato.

LE DIVERGENZE SU LAVORO E JOBS ACT

In politica economica Renzi rivendica i risultati dei suoi mille giorni, durante i quali il Pil “è passato da negativo (-2) a positivo (+1)” e, grazie al Jobs Act si sono avuti 700mila posti di lavoro”, mentre Orlando mette in luce le criticità di quella riforma del lavoro e della Buona Scuola: “Il Jobs Act non è riuscito a modificare il comportamento di chi continua a preferire come prima tipologia di assunzione, specialmente per i giovani, le forme contrattuali più precarie. L’esplosione dei voucher – da riportare alle reali esigenze di lavoro accessorio – ha coperto i fenomeni più degradanti”, si legge ancora nella mozione di Orlando, il quale secondo i renziani non aveva espresso in passato questa contrarietà.

L’IDEA ORLANDIANA DI UNA IRI DELLA CONOSCENZA

Il cavallo di battaglia dello sfidante di Renzi è, però, il rilancio degli investimenti pubblici che dovrebbe tradursi nell’assunzione di nuovi impiegati pubblici e nella nascita di “un nuovo IRI della conoscenza, che affronti di petto il problema della ricerca applicata al fine di migliorare la competitività e la qualità dell’intero sistema produttivo, in coerenza con le vocazioni e gli orientamenti dell’economia Italia”.

LE IDEE RENZIANE DI PARTITO

Ma la divergenza vera tra i due candidati è sulla natura del Pd. Per Renzi deve essere una forza politica che vuole “costruire una società più giusta, ispirata ai valori di solidarietà, libertà e uguaglianza” e che affonda le sue radici su due pilastri. “Da una parte le culture politiche sulle quali si è fondata nel secondo dopoguerra la democrazia italiana e che nel corso dei decenni della storia repubblicana ne hanno alimentato e rinnovato le prospettive. Dall’altra l’idea di centrosinistra che è stata al cuore dell’esperienza dell’Ulivo”. Un richiamo che mira a raccogliere il consenso dei ‘nostalgici’ e a dimostrare che il Pd senza D’Alema e Bersani non è solo una ‘Margherita’ in versione ridotta. Partendo da questi presupposti è necessario superare “la dicotomia tra ‘partito leggero’ e ‘partito pesante’ che ha rappresentato per troppo tempo una gabbia solo ideologica”. Il tutto non deve sfociare nella “privatizzazione della politica, con modelli di partito-azienda costruiti con gli strumenti del marketing o gestiti con gli algoritmi”. Un chiaro riferimento a Forza Italia e al Movimento Cinquestelle. La militanza, per Renzi, può però “assumere forme e tempi differenti anche indipendentemente dalla presenza fisica in un dato momento e in un determinato luogo”. Un partito che deve essere “sottratto una volta per sempre alle decisioni di piccoli gruppi che si autoproclamano depositari della volontà generale”.

LA DIATRIBA SUL TICKET SEGRETARIO-PREMIER 

Infine lo spartiacque cruciale. Per Renzi, anche se dovesse tornare in auge il proporzionale, la leadership che si propone per il governo del Paese deve essere la stessa che guida il partito, mentre per Orlando la figura del segretario deve essere diversa da quella del candidato premier. Per il ministro della Giustizia il segretario deve tornare ad occuparsi solo e soltanto del partito. “La distinzione tra partito e governo servirà a mantenere le promesse mancate: formare gruppi dirigenti nuovi e rilanciare la partecipazione attiva”. Orlando, infine, parlando di legge elettorale, rilancia la modifica dell’Italicum che aveva portato avanti il suo attuale sostenitore al Congresso, Gianni Cuperlo, poco prima del voto del 4 dicembre. Una riforma che consentirebbe di uniformare le due leggi elettorali ora in vigore per Camera e Senato e che permetterebbe di approvare un proporzionale con premi di maggioranza tali da escludere l’arrivo a Palazzo Chigi dell’uomo solo al comando. L’antitesi rispetto a quel che avrebbe voluto Renzi con l’Italicum prima versione. Il 30 aprile sapremo chi avrà avuto la meglio.

Renzi Lingotto Pd

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