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Il sindacalismo di classe e antagonista delira, i cittadini restano senza servizi pubblici o subiscono disservizi, il governo s’interroga, rilascia interviste, annuncia da mesi una revisione delle norme sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali, ma nulla fa.

Benvenuti in Italia. Dove micro sindacati riescono a bloccare le città. Per rivendicare il rinnovo del contratto di categoria? Per chiedere aumenti salariali? No. Siccome siamo notoriamente sotto un regime dittatoriale (gli scioperanti, ovvero le sigle Usb, Usi e Unicobas, attestano di “voler cacciare il governo abusivo”, testuale), chi fa penare gli italiani è soddisfatto perché “così ogni cittadini in Italia si accorgerà degli effetti della nostra lotta e sarà costretto a riflettere sulla funzione progressiva del sindacalismo di classe” (testuale dal sito dei signori sindacalisti scioperanti).

I fatti. A proclamare l’agitazione è stato il sindacato Usb, cui si sono uniti anche l’Usi e l’Unicobas. Lo sciopero “generale di tutte le categorie pubbliche e private”, hanno spiegato, è per protestare “contro le politiche economiche del governo Renzi dettate dall’Ue”, contro la riforma scolastica della “Buona scuola” e il sistema previdenziale regolato dalla legge Fornero, “per la difesa e l’attuazione della Costituzione e il No al Referendum”. In diverse città sono previsti manifestazioni e presidi. L’appuntamento principale è a Roma, in piazza San Giovanni. Tra cortei, dibattiti e musica, si andrà avanti fino al giorno dopo, il 22 ottobre, quando, nella stessa piazza, si terrà il “No Renzi Day” (a favore del “No” al referendum).

I fatti sono questi. Ma la memoria deve aiutare a ricordare anche come e quanto il legislatore cianci da tempo di revisioni delle norme sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali, per contemperare il diritto dei lavoratori a incrociare le braccia con il diritto di cittadini, imprenditori, professionisti, altri dipendenti come gli scioperanti, di studenti e anziani di poter usufruire di servizi pubblici essenziali senza essere vessati e umiliati.

Per questo, senza andare troppo indietro negli anni, basti ricordare quello che diceva, annunciava e prometteva il 20 aprile 2015 il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, a nome di tutto il governo: “Bloccare le città per l’agitazione di un solo sindacato non sarà più possibile. In certi casi si potrebbe arrivare a chiedere il 75 per cento dei consensi”, diceva un anno e mezzo fa il ministro.

Le mosse dell’esecutivo parevano imminenti, secondo le parole di Delrio al quotidiano Il Messaggero: “L’argomento è oggetto di discussione con le Authority competenti. Questa mattina ho incontrato Andrea Camanzi, presidente dell’Autorità di regolazione dei trasporti. Entro breve incontrerò Roberto Alesse, presidente dell’Autorità di garanzia sugli scioperi. Subito dopo assumeremo le decisioni del caso”.

Quali decisioni? Ecco le ipotesi su cui – un anno e mezzo fa – il governo si stava orientando: “Si va dalla revisione della legge sugli scioperi a norme più leggere. Non si vuole comprimere un diritto sacrosanto dei lavoratori ma credo sia un dovere sociale e di affetto verso il Paese entrare nel merito. Decisioni così gravi, come lo sciopero dei trasporti in una città, debbono riscuotere il consenso della maggioranza dei lavoratori. Un po’ come da tempo capita in Germania”.

Ministro, governo, a che punto siamo? Grazie.

Cosa fa il governo per evitare gli scioperi vessatori nei servizi pubblici essenziali?

Il sindacalismo di classe e antagonista delira, i cittadini restano senza servizi pubblici o subiscono disservizi, il governo s’interroga, rilascia interviste, annuncia da mesi una revisione delle norme sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali, ma nulla fa. Benvenuti in Italia. Dove micro sindacati riescono a bloccare le città. Per rivendicare il rinnovo del contratto di categoria? Per chiedere aumenti salariali?…

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