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La funzione anticiclica svolta dalle BCC anche nella lunghissima fase di crisi iniziatasi nel 2008 non è senza costi. Merita dunque un ragionamento e l’esame di dati e tendenze (anche di fonte terza) il commento a quanto riportato da Formiche.net lo scorso 16 settembre. Formiche riprende una sintesi di uno studio Prometeia sui “veri” conti delle BCC. Intanto è bene precisare che i bilanci delle BCC sono pubblici e nell’appendice della relazione annuale di Banca d’Italia ci sono tutti i dati della Categoria aggregati; chiunque voglia può consultarli. Ma soprattutto ci sembra che la lettura dell’andamento delle BCC meriti alcune precisazioni e un approccio più articolato e più fedele alla realtà.

La prima precisazione riguarda la redditività (che nell’articolo viene definita negativa): la redditività della grande maggioranza delle BCC è solidamente positiva. Il dato aggregato dell’utile netto, che nel 2015 ha registrato un valore leggermente negativo, è il risultato delle perdite di un numero limitato di BCC che hanno effettuato pulizie straordinarie sui crediti deteriorati. L’elevata patrimonializzazione ha consentito comunque a queste BCC di sostenere il forte incremento delle svalutazioni. La somma algebrica degli utili netti nasconde quindi il fatto che la maggior parte delle BCC continua a registrare profitti positivi che vanno ad incrementare direttamente il patrimonio . Anche il dato sui costi va qualificato. L’incremento registrato nell’ultimo anno è da imputare all’operazione “salvabanche” del novembre scorso che ha pesato per centinaia di milioni sui conti economici delle BCC (le quali, è bene ricordare, hanno sempre risolto all’interno della categoria le crisi di altre BCC, senza pesare sulle altre banche e senza aiuti pubblici).

Infine, il flusso di rettifiche su crediti è stato rilevante e ha portato il tasso di copertura delle sofferenze a livelli equiparabili alla media delle altre banche. E’ opportuno però ricordare come la quota di impieghi delle BCC garantiti (con garanzie reali) è superiore a quella della media dell’industria bancaria. Ciò potrebbe accrescere il tasso di recupero.

Premesso questo, è chiaro che le BCC – come tutte le altre banche la cui attività principale è di raccogliere risparmio ed erogare credito alle imprese e alle famiglie – hanno visto scendere i margini a causa dei bassi tassi di interesse e restringersi i volumi a causa della debole domanda di credito (mentre banche che operano solo nel mercato del risparmio gestito hanno tratto da questo contesto un evidente beneficio). Nonostante ciò, la gran parte delle BCC opera in utile e ha visto anche crescere i ricavi da servizi (come giustamente riportato nell’articolo), risultato di una strategia volta a diversificare le fonti di reddito.

La seconda precisazione riguarda il rischio. L’incidenza dei crediti deteriorati (il cosiddetto NPL ratio) nelle BCC è alta rispetto agli standard europei, ma è solo leggermente più elevata della media dell’industria bancaria. Se però si paragona la rischiosità degli impieghi delle BCC con la media dell’industria bancaria a parità di composizione settoriale (impieghi a imprese, PMI, famiglie) si evince che nei singoli settori le BCC registrano tassi di sofferenza inferiori alle altre banche. Quindi il tasso di incidenza dei crediti deteriorati appare mediamente più elevato perché le BCC prestano di più a famiglie e soprattutto a piccole imprese che hanno subito la più devastante crisi economica dal dopoguerra. Questa analisi va quindi inserita in una riflessione più ampia sul ruolo delle BCC nel contesto economico italiano. Alcuni dati, di fonte terza, possono essere utili.

Un recente lavoro di alcuni ricercatori della Banca d’Italia (marzo 2016) dal titolo: “Le banche locali e il finanziamento dei territori: evidenze per l’Italia (2007-2014)” riporta che: “Nel contesto di un progressivo indebolimento della dinamica del credito, tra il 2007 e il 2014 le banche locali hanno registrato tassi di variazione dei prestiti a famiglie e imprese più elevati rispetto alle altre banche”. E ancora, “per effetto del diverso andamento dei prestiti, la quota di mercato delle banche locali nei confronti di famiglie e imprese è aumentata, raggiungendo il 17,0 per cento alla fine del 2014 (dal 14,9 per cento alla fine del 2007). La crescita delle quote di mercato ha riguardato sia i prestiti alle piccole imprese, tradizionale clientela di riferimento (dal 26,9 al 29,6 per cento), sia quelli a imprese medie e grandi (dal 12,1 al 15,0). La quota delle banche locali sui prestiti alle famiglie consumatrici è cresciuta di meno, al 15,4 per cento, circa un punto percentuale in più rispetto al livello precedente la crisi”.

Lo studio della Banca d’Italia evidenzia anche come “nel periodo oggetto di analisi le banche locali hanno applicato in media tassi più bassi rispetto agli altri intermediari sulle linee di credito in conto corrente, i cd. prestiti “a revoca”. Questa forma di finanziamento è utilizzata principalmente per la copertura del capitale circolante e presenta caratteristiche che la rendono più adatta di altre al confronto tra condizioni di costo.” (…) ” sulla base dei dati di una rilevazione campionaria della Banca d’Italia si può stimare che alla fine del 2014 le imprese affidate da banche locali abbiano corrisposto in media un tasso d’interesse inferiore di 1,4 punti percentuali circa rispetto a quello sostenuto da clienti di altre banche”.

Naturalmente, considerato l’andamento macroeconomico, il rischio di credito ne ha risentito. Ma non per la clientela “tipica”. “Il peggioramento della qualità del credito delle banche locali risente del più frequente ingresso in sofferenza dei prestiti erogati alle imprese più grandi: (…); le banche locali hanno invece continuato a presentare un tasso di ingresso in sofferenza inferiore al resto del sistema bancario nei confronti delle imprese piccole, confermando un loro possibile “vantaggio informativo”.

All’interno delle banche locali, le BCC si posizionano meglio. “Per le BCC l’evoluzione della qualità dei prestiti alle imprese è stata lievemente più favorevole rispetto alle altre banche locali. Il tasso di ingresso in sofferenza si è mantenuto sistematicamente al di sotto dei livelli delle altre banche fino al 2013, anche a parità di composizione del portafoglio; nel corso del successivo anno è però divenuto superiore, attestandosi al 4,9 per cento a dicembre”.

Quindi, la funzione di sostegno ad un settore cruciale per l’economia italiana come quello delle PMI, ha indubbiamente pesato nella recente performance delle BCC, ma è parte della ragione intrinseca di esistenza di questa tipologia di banche. La recente evoluzione organizzativa avviata dal progetto di riforma del Credito Cooperativo approvato a marzo 2016 è finalizzata proprio a mantenere questa capacità di servizio nel contesto dell’Unione Bancaria e nel rispetto delle radici e dei principi mutualistici.

Infine, per completare il quadro di insieme in cui inserire la recente performance delle BCC, è opportuno richiamare un elemento caratteristico del Credito Cooperativo, ovvero la solida e rodata rete di protezione che consente di gestire le crisi aziendali senza oneri per i clienti, salvaguardando la presenza sul territorio, la continuità dei rapporti bancari esistenti e l’occupazione. Forse è anche per questo che il numero di soci delle BCC continuano a crescere (oltre il 3 per cento nell’ultimo anno), segno di una fiducia basata sui risultati e sui comportamenti tenuti in una fase così difficile per l’economia e per l’industria bancaria italiana. Insomma, nonostante il contesto avverso e la consapevolezza delle razionalizzazioni da apportare, il modello di business delle BCC continua ad essere solido e permette di pianificare e implementare i necessari aggiustamenti per continuare a servire la clientela anche nell’era dell’Unione Bancaria, dei tassi zero e della rivoluzione digitale.

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