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Nelle prossime settimane la portaerei russa “Admiral Kuznetsov” arriverà nel Mediterraneo, per stazionare nelle acque davanti alla Siria. Si tratta di una missione annunciata già da luglio, durerà quattro o cinque mesi e rientra nel piano di rinforzi che Mosca sta portando all’interno del conflitto siriano. La nave scenderà verso sud dal Mare di Barents, dopo le riparazioni avute nel cantiere di Roslyakovo, nella regione di Murmansk. Molto probabile che la rotta scenderà dal Mare del Nord e taglierà la Manica e il Golfo di Biscaglia per entrare nelle acque mediterranee da Gibilterra. Il viaggio è stato ipotizzato da alcuni funzionari della Royal Navy inglese (ma è il più probabile) che hanno raccontato al Telegraph che c’è uno stato di allarme, ed è in previsione una mini-missione Nato per scortare a distanza la portaerei e le altre otto navi del suo gruppo da battaglia – in realtà si tratta di una prassi usuale quando navi non alleate entrano nelle acque dell’Alleanza. Londra teme però che i russi approfittino dello spostamento dell’unico vettore portaerei di cui dispongono per dare dimostrazioni muscolari di forza, compiendo manovre ed esercitazioni a largo della proprie acque (tra gli analisti si sta facendo strada l’idea che i russi abbiano a disposizione soltanto la potenza militare per proiettare la propria influenza, date le pessime condizioni della propria economia).

LA CRISI CREMLINO-OCCIDENTE

Quello che potrebbe succedere durante la discesa della Kuznetsov va inquadrato nella fase politico/diplomatica che caratterizza sia i rapporti tra Nato e Russia, sia più nello specifico quelli di Mosca con Londra. L’Alleanza Atlantica sta rafforzando la proprie presenza sul Fronte orientale (anche l’Italia ne prenderà parte), ossia la fascia di Europa che confina con la Russia; una presenza che in realtà resta modesta in confronto agli schieramenti militari russi nella stessa area. Ma se questi movimenti di mezzi e armamenti verso est della Nato si portano dietro il doppio messaggio “Difesa e dialogo” di cui il segretario generale Jens Soltenberg parla da tempo, Londra usa toni molto più decisi. Domenica è prevista nella capitale britannica una riunione tra i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Regno Unito, che seguirà di un giorno il meeting di Losanna dove il segretario di Stato americano John Kerry (che poi sarà presente anche a Londra) e l’omologo russo Sergei Lavrov torneranno ad incontrarsi personalmente, dopo la sospensione dei negoziati e i toni aspri delle ultime settimane (in Svizzera saranno presenti anche delegazioni di Turchia, Qatar, Arabia Saudita e Iran). Il clima che accompagna l’incontro londinese è teso: il ministro degli Esteri Boris Johnson due giorni fa parlando al Comitato ristretto per gli Affari Esteri ha apertamente detto che l’Occidente dovrebbe pensare ad “opzioni militari” e alzare nuove sanzioni economiche contro Bashar el Assad e chi lo sostiene (chi lo sostiene? La Russia). Secondo Johnson la situazione disperata di Aleppo, dove da tre settimane i bombardamenti del regime martellano indiscriminatamente civili e combattenti, “ha fatto cambiare umore alla Camera dei Comuni”. Questo è un richiamo: tre anni fa, quando Assad gassò i civili del quartiere Goutha di Damasco con un attacco chimico al sarin che uccise più di mille persone, e Washington considerò delle misure repressive contro le postazioni militari del regime, i parlamentari del Regno Unito votarono contro. Il 29 agosto del 2013 dopo una lunga discussione 285 parlamentari negarono al governo la possibilità di intervenire in Siria contro Assad, bocciando la mozione della maggioranza e segnando di fatto una delle più grosse debacle politiche per l’allora primo ministro David Cameron. Il no inglese fu uno degli aspetti che portarono Barack Obama, quasi deciso sull’intervento, a far un dietrofront che indispettì non poco i francesi.

LA RETORICA INGLESE

Ora Johnson dice che il clima è cambiato, dice di aver avuto colloqui con alcuni dello staff di Hillary Clinton e aver constatato che la linea della candidata democratica alle ormai prossime elezioni presidenziali è più dura di quella attualmente sostenuta da Washington, e che cercherà la sponda dell’America per valutare altre opzioni più dure contro la Siria e i suoi partner. Per questa ragione le relazioni tra Londra e Mosca stanno vivendo una fase critica: gli inglesi da sempre sono stati tra i più fermi verso i russi, gli unici a non aver mai cambiato posizione sulle sanzioni post-Ucraina, e forse anche per questo la Russia ha tifato, più o meno apertamente, per la Brexit. Johnson ha anche parlato della possibilità dell’uscita delle delegazioni occidentali dal tavolo di discussione del Syrian Support Group, che include venticinque nazioni tra cui Russia e Iran. Un portavoce del Foreign Office ha detto al Guardian che “è sbagliato” prendere “come un primo passo verso un’azione militare in Siria” le parole di Johnson, e non c’ nessuna pianificazione in corso a riguardo. Ma è chiaro che in questo momento le sensibilità inglesi sono cambiate: mercoledì a stretto giro il parlamentare conservatore inglese Andrew Mitchell, ex carrista del Royal Tank Regiment prima di salire in politica, ha detto che servirebbero gli aerei Nato per controllare una no-fly zone in Siria, e se poi i russi dovessero violarla allora… “Se serve contrastare la difesa aera russa a nome delle persone innocenti a terra che stiamo cercando di proteggere, allora dovremmo farlo”.

I FRANCESI

La Kuznetsov passerà anche al largo delle coste francesi, si diceva: appunto. Questa settimana i portavoce del presidente russo Vladimir Putin hanno annunciato di chiamarsi fuori da una visita di stato in Francia che sarebbe stata in programma per il 19 ottobre, dopo che il francese François Hollande aveva dichiarato di voler incontrare il russo soltanto per parlare di Siria. Sullo sfondo il veto di Mosca in sede di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su una proposta di tregua studiata dalla Francia che ricalcava molto quella ormai saltata e chiusa i primi di settembre tra Mosca e Washington.

(Foto: Flickr)

Tutte le tensioni fra Londra e Mosca sulla Siria

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