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Che cosa sta succedendo davvero tra il governo e le grandi banche? Si marcia tutti in grande concordia, oppure non mancano tensioni e dissidi più o meno sotto traccia? La risposta propende più sulla seconda ipotesi che sulla prima. E’ quello che asseriscono alcune fonti convergenti dopo la riunione ad alto livello ieri tra vertici ministeriali e vertici dei maggiori istituti di credito. Si delinea dunque un secondo tempo, tra l’altro, delle latenti contrapposizioni fra Intesa e Mediobanca dopo quelle su Urbano Cairo in Rcs?

Di sicuro sia sul piano del Monte dei Paschi di Siena sia sull’acquisto da parte di Ubi delle good bank frutto delle risoluzioni non mancano le fibrillazioni.

Se gli addetti ai lavori hanno notato una sorta di silenzio-assenso da parte del ministero dell’Economia, Pier Carlo Padoan, rispetto alle domande e alle rivelazioni di Ferruccio de Bortoli ieri sulla prima pagina del Corriere della Sera (Padoan si è limitato a scrivere in una lettera al Corsera: “Tra lo Stato interventista e lo Stato attendista che si sono alternati nei decenni passati, questo Governo ha scelto il ruolo del facilitatore attivo, nel rispetto del mercato e dell’autonomia dei soggetti privati), ambienti governativi hanno letto le sortite di de Bortoli e anche di Massimo Mucchetti ieri sul Fatto Quotidiano come una sorta di eco latente di sbuffi che giungono da settori di Intesa Sanpaolo. O meglio, da alcuni soci forti del fondo Atlante 2 (creato quasi ad hoc per rilevare parte delle sofferenze di Mps) che non vedono con entusiasmo l’attivismo – che sarà ben remunerato, secondo i calcoli urticanti di Mucchettidi Jp Morgan e di Vittorio Grilli nel piano di salvataggio di Mps con relativi incassi anche sui finanziamenti connessi allo stesso piano di cartolarizzazione degli Npl.

Significativo, secondo questa interpretazione, un passaggio dell’editoriale di ieri de Bortoli: “Jp Morgan per fare una valutazione delle sofferenze ai fini del prestito, ha incaricato Italfondiario del gruppo americano Fortress mettendo in discussione la scelta fatta da Atlante che si è affidato a Fonspa. Qui si pone anche un duplice rischio. Il primo che Italfondiario fornisca una valutazione dei crediti in sofferenza inferiore a quella garantita ad Atlante, a tutto vantaggio delle banche creditrici, soprattutto Jp Morgan. Il secondo che si formi una posizione dominante visto che Italfondiario non si limiterebbe, come Fonspa, alla valutazione dei crediti, ma è anche il principale operatore nella gestione e nella riscossione. Tutto ciò sarebbe in contrasto con il memorandum of understanding siglato da Mps con Quaestio, ovvero Atlante, e reso pubblico, che prevede «concorrenza e trasparenza» nella gestione di un mercato delle sofferenze che avrà dimensioni colossali”.

L’ex direttore del Corriere della Sera, in sostanza, si chiede tra l’altro che tipo di gara (o non gara) ci sia stata dietro la scelta di Jp Morgan. Ma c’è chi si chiede anche se ci sia stata una selezione competitiva e aperta anche per la scelta da parte di Atlante di affidarsi alla sgr Quaestio emanazione della fondazione Cariplo presieduta da Giuseppe Guzzetti, a capo anche dell’Acri, l’associazione che riunisce e rappresenta le fondazioni bancarie.

Qualche divergenza fra grandi banche ed esecutivo è emersa anche sull’acquisto da parte di Ubi delle 4 good bank. Tutti, sia sistema bancario che esponenti ministeriali, hanno accolto con sorpresa la richiesta della Bce per un aumento di capitale da 600 milioni connesso con l’operazione Ubi-good bank. Ma a questo punto, secondo quanto scrive oggi il quotidiano La Stampa, sarebbe “ripartito il pressing” dell’esecutivo nei confronti di “Banca Intesa ed Unicredit”: “Da loro – scrive il quotidiano torinese – che pure hanno già finanziato ampiamente i due fondi Atlante ed erogato assieme ad Ubi un prestito ponte da 1,6 miliardi destinato alle 4 «good banks», ci si aspetta un ulteriore sforzo, ad esempio per togliere dal groppone di Ubi i 3,4 miliardi di nuove sofferenze che le 4 banche hanno generato da inizio anno”. “Ma Intesa non ne vuole sapere – scrive La Stampa – e Unicredit ha altri guai di suo, per cui entrambe fanno muro”.

Infine i banchieri sbuffano anche per un’altra ragione: “Il governo – scrive Mf/Milano Finanza – ha detto no alla possibilità di girare per tre anni al Fondo per gli esuberi dei bancari i 200 milioni che ogni anno le banche versano come contributo al sistema di ammortizzatori sociali delle altre categorie”.

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Di Bruno Guarini e Fernando Pineda

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