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Per Barack Obama, è l’ora dei commiati. Ma il presidente vuole ancora lasciare il segno e cerca, quando può, di consegnare al suo successore un mondo migliore: all’ultima missione in Asia e all’ultimo G20 del suo doppio mandato, Obama firma, a Hangzhou, col collega cinese Xi Jinping, l’accordo di Parigi sul cambiamento climatico.

La firma apposta dal presidente Obama significa che gli Stati Uniti lo rispetteranno, ma non vuole dire che arriveranno in fretta alla ratifica parlamentare: il Congresso a maggioranza repubblicana non darà questa soddisfazione all’Amministrazione democratica, in una stagione elettorale. E se poi il prossimo inquilino della Casa Bianca fosse Donald Trump, che ancora contesta l’influenza umana sui cambiamenti climatici, la sopravvivenza dell’intesa sarebbe a rischio. Hillary Clinton, invece, condivide l’operato di Obama, anche se, in queste ore, non lo sbandiera troppo.

La stagione elettorale, infatti, non è la più favorevole ai grandi accordi internazionali, specie a quelli nel segno della libertà degli scambi: il Tpp, che riguarda il Pacifico, sopravvive perché è già stato concluso (ma di ratifica non si parla); il Ttip, che riguarda l’Atlantico e quindi l’Europa, rallenta, se non affonda. Trump, che vuole pure rivedere il Nafta, come minimo li rinegozierebbe; Hillary, che in campagna accentua i toni protezionistici, non li spinge.

La firma di Usa e Cina, i due Paesi più inquinanti, rafforza, comunque, i presupposti perché l’intesa sul clima entri presto in vigore, magari addirittura entro fine anno: il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon invita tutti gli Stati coinvolti a New York il 21 settembre, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

L’accordo diventerà effettivo 30 giorni dopo la ratifica da parte di almeno 55 Paesi, le cui emissioni di gas serra siano almeno il 55 per cento del totale – Usa e Cina da soli fanno il 39 per cento – . Il testo di Parigi è stato siglato da oltre 175 Paesi – mancano però all’appello Paesi energeticamente importanti come Arabia saudita, Iraq, Siria, Nigeria, Kazakhstan, Uzbekistan e vari altri – ; e almeno 34 Paesi si sono impegnati a ratificarlo entro il 2016 – l’Italia fa sapere che intende stringere i tempi – .

Finora, secondo il sito dell’Onu, solo 24 Paesi hanno concluso il processo, per lo più piccoli Stati insulari del Pacifico molto a rischio per la crescita del livello delle acque oceaniche, ma che rappresentano solo l’1,08 per cento delle emissioni globali.

“A Parigi, abbiamo deciso di salvare il Pianeta”, ha detto Obama, apponendo la firma all’accordo sulla riduzione delle emissioni inquinanti. Poche ore prima, il Parlamento cinese aveva ratificato l’intesa: la Cina è il Paese più sollecitato dagli impegni di Parigi, perché attualmente il 70 per cento della sua elettricità viene dal carbone. Ban, presente alla cerimonia, ha commentato: “Se Paesi come Cina e Usa sono pronti ad esercitare la leadership con l’esempio è possibile creare un mondo migliore”.

CLIMA: I PUNTI DELL’ACCORDO RAGGIUNTO A PARIGI

Questi i punti salienti dell’accordo sul clima raggiunto il 12 dicembre 2015 a Parigi alla 21a conferenza mondiale: l’intesa pone obiettivi ambiziosi ed efficaci, ma resta spesso vaga sugli strumenti per raggiungerli. Si tratta di bloccare l’innalzamento della temperatura “ben al di sotto dei 2 gradi” rispetto all’era preindustriale e di fare tutti gli sforzi possibili per non superare 1,5 gradi. Ciò implica ridurre almeno d’un terzo la quantità di carbonio immessa nell’atmosfera bruciando combustibili fossili e deforestando.

I Paesi industrializzati si sono impegnati ad alimentare, a partire dal 2021, un fondo annuo da 100 miliardi di dollari (con un meccanismo di crescita programmata) per trasferire tecnologie pulite in quei Paesi non in grado di fare da soli il salto verso la green economy. Sono pure previsti rafforzamenti periodici degli obiettivi di riduzione fissati volontariamente dai singoli Paesi. L’intesa avrà una prima verifica nel 2018 e una prima revisione vera e propria nel 2023 per rivedere al rialzo gli obiettivi di riduzione della CO2 (le revisioni si susseguiranno ogni cinque anni).

GREENPEACE, “PUNTO DI PARTENZA, NON ARRIVO”

Per Greenpeace, la firma di Usa e Cina “è un segnale molto forte per tutto il Pianeta. Gli impegni presi nel dicembre 2015 a Parigi si stanno trasformando da semplici accordi in azioni concrete; e l’entrata in vigore del trattato è ora molto più vicina. Ciò non deve però essere visto come un punto di arrivo, ma come un punto di partenza”.

Usa e Cina – dice Greenpeace – dovranno ora aumentare le proprie ambizioni e velocizzare l’adozione di provvedimenti utili a evitare le conseguenze peggiori dei cambiamenti climatici. Inoltre, dovranno fare pressione a livello internazionale perché le ratifiche dell’accordo si completino il prima possibile.

Il G20 offre anche alle altre 18 principali economie del Pianeta la possibilità di mostrare come intendano difendere il clima. E Greenpeace sollecita Ue e Italia alle rispettive ratifiche.

(post tratto dal blog di Giampiero Gramaglia)

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