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Chi ci conosce sa che, in qualità di medici dipendenti (con significative responsabilità cliniche e gestionali) e di sindacalisti medici (con responsabilità nazionali del secondo sindacato medico autonomo, prima, e di una confederazione autonoma della dirigenza, poi) ci siamo battuti, per decenni (era il lontano 1990) perché i medici dipendenti (e non solo loro, ovviamente) fossero coperti da un’adeguata assicurazione professionale, che li tutelasse a pieno, in relazione alla professione medica (che non è una scienza esatta) e consentisse loro di affrontare con serenità le quotidiane, difficili, decisioni cliniche.

Anamnesi pignola, esame obiettivo accurato, preparazione specifica aggiornata, ipotesi diagnostiche probabili e possibili, accertamenti diagnostici corretti e disponibili, diagnosi finale, terapia conseguente (medica, chirurgica, riabilitativa), colloquio chiaro con il paziente ecc. non escludono che, poi, non possa nascere un contenzioso legale, inizialmente penale e poi civile.
In questi 27 anni, le cronache sanitarie si sono riempite di migliaia di procedimenti legali, inizialmente solo contro i medici e poi – sempre più frequentemente- contro intere equipes sanitarie.
Non scriviamo nulla di nuovo, se focalizziamo il fatto che, in 20 anni di professione, l’80 per cento dei medici ha la possibilità di essere “travolto” da almeno 2 contenziosi legali che gli sconvolgeranno la vita, anche se alla fine tutto finisse in una bolla di sapone.

È quello che, per due volte, è successo a chi scrive. Per carità, nessun rinvio a giudizio, ma le deu cause mi hanno rovinato almeno 6 anni di vita professionale, oltre ad avermi fatto capire alcune verità fondamentali.

LA PRIMA

In un paese civile, quale il nostro non è, il cittadino, la persona (malata o no) che si rivolge a una struttura sanitaria (pubblica e privata) dovrebbe avere la certezza automatica che essa sia pienamente coperta dai rischi professionali e dagli incidenti “occasionali” (rottura di letto, black-out energetico ecc.). Chi entra in una siffatta struttura dovrebbe sentirsi protetto, sul piano personale, professionale e strutturale.
Ma l’Italia non è un paese civile e così, ancora nel 2016, il 98 per cento delle strutture sanitarie non dispone di una siffatta copertura assicurativa globale. Anzi, la pesante crisi economica ha fatto sì che, anche nelle regioni del Nord, le Asl abbiano attivato (su input regionale) una copertura assicurativa che prevede franchigie, financo di 400-500.000 euro. Per non parlare di altre quisquilie quali la vetustà del 50 per cento degli ospedali pubblici (aspetteremo altri terremoti?), i persistenti sotto-organici, rispetto agli standards Ue ed Usa, financo il mancato rispetto degli ultra-trentennali standards di Donat Cattin, mai aggiornati totalmente. Anzi, peggiorati dalla crisi economica che induce le regioni a tagliare i reparti specialistici, a ridurre il numero dei dipartimenti e dei primariati (o equivalenti), a taglieggiare sull’aggiornamento tecnologico e sulla copertura delle piante organiche.

LA SECONDA: L’EMERGENZA

La seconda verità nasce da quanto sopra ricordato. Le principali criticità ospedaliere, oggi, riguardano l’intero settore dell’emergenza, territoriale e ospedaliera, con quel che ne segue. Di notte e nei festivi, in quante sale operatorie l’organico medico è “numericamente corretto ed adeguatamente specialistico?”.

LA TERZA: I CONTRATTI PUBBLICI

Se, oggi, il rischio professionale medico è un po’ più contenuto rispetto a 26 anni fa non è merito delle leggi, ma dei contratti.
Per decenni abbiamo sperato che la politica si facesse carico del rischio sanitario, invano. Noi, di persona, abbiamo avuto una serie di ripetuti incontri – su questo tema – con una serie di ministri e sottosegretari: De Lorenzo, Garavaglia, Costa, Guzzanti, Bindi, Veronesi, Sirchia, Storace, Turco, Fazio. Altri, dopo di noi, li hanno avuti con Balduzzi e con la Lorenzin, invano.
Abbiamo scritto disegni di legge in merito, mai arrivati in aula. E non ci si venga a dire che la legge Balduzzi ha risolto i problemi. Anzi, basta analizzare le pubblicità radiofoniche quotidiane.
Per fortuna che i sindacalisti medici (soprattutto quelli della Cimo) sono riusciti a far inserire all’interno dei contratti di lavoro alcuni articoli che hanno parzialmente tutelato la categoria. Si tratta degli articoli 24 e 25 del Ccnl 08/06/2000 e dell’art.21 del Ccnl 3/11/2005. Ma ancor oggi ci chiediamo quale sia stata la loro applicazione concreta e come sarebbero riscritti oggi quei testi se, finalmente, il governo Renzi decidesse di riavviare seriamente il rinnovo dei Cnnl e delle convenzioni.

LA QUARTA: I MEDICI

I corsi di risk management non sono risolutivi. Conosciamo troppo bene i colleghi, per non sapere che una percentuale importante di loro ritiene di non dover attivare una polizza assicurativa personale perché “tanto c’è quella dell’ospedale”. Oppure, se ce l’hanno, sono privi di una tutela legale specifica. Il tutto, con coperture adeguate e con clausolette ben chiare!

LA QUINTA

L’avviso di garanzia coglie impreparato il medico che, non sapendo bene cosa fare, o si fida dell’Asl, o commette una serie di errori procedurali. Tanto più gravi se la cartella clinica è sequestrata e se viene richiesta l’autopsia, atto irripetibile. Da richiedere sempre la presenza di un perito di parte, esperto.

LA SESTA

I pazienti e i loro parenti, spesso, si fanno abbindolare dall’avvocato che trovano sulle porte della struttura, dalla pubblicità ingannevole, dal fatto che – nel contenzioso penale- non sono costretti a spendere, subito, grosse cifre, anzi.

LA SETTIMA: SINDACATI Sì, SINDACATI NO

Ci sono sindacati medici che, all’interno della tessera sindacale, prevedono una qualche forma di tutela legale. Ma ognuno può capire che un singolo avvocato (sia esso civilista o penalista) non può né essere a conoscenza delle specificità delle singole specialità, né essere in grado di coprire tutta la penisola. Conseguenze? Ovvie. Il medico è lasciato solo, si agita, sbaglia procedure, sbaglia scelta del legale e del perito, si imbarca in un’avventura costosa, anche se finisse “bene”.

E ALLORA?

Poiché il parlamento non ha varato norme che obblighino le Asl ad assicurare integralmente personale, pazienti e strutture occorre che il professionista si tuteli pienamente, per la sua tranquillità personale, professionale e di vita.
Come? Non solo attivando una polizza assicurativa specifica e con buona copertura, ma anche spendendo qualche euro suppletivo per garantirsi un consulente globale. Un consulente che gli controlli la validità della polizza e che, soprattutto, gli garantisca – in caso di avviso di garanzia o di ipotesi di contenzioso – una consulenza immediata e specifica, 24 ore su 24 e su tutto il territorio nazionale. In altri termini, un mutuo soccorso legale per medici, con legali e consulenti tecnici a fianco dei medici, per ottimizzare la difesa.

Per noi questo dovrà essere il futuro. C’è da chiedersi se i vertici attuali della categoria medica siano concretamente sensibili, o meno, a questo fondamentale aspetto professionale.

Ad maiora!

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