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Premetto di non essere iscritto al Movimento Cinque Stelle (M5S), anche se riconosco la novità che il M5S ha portato nel quadro politico italiano con la concezione, molto americana, di democrazia partecipata dal basso. Ho vissuto in America quindici anni e, quindi, vi vedo aspetti che assomigliano alla partecipazione politica negli Usa.

Premetto altresì di non avere formulato un giudizio sull’amministrazione comunale di Roma. Governare la capitale d’Italia è un’impresa titanica come lo era quella di governare New York City negli anni settanta quando – si diceva negli Stati Uniti – per candidarsi a sindaco era necessaria una forte vocazione al suicidio.

Fatte queste premesse, credo fermamente che se la prima decisione di chi ha l’onere di governare la città è quella di dire un forte e chiaro ‘NO’ al progetto di candidare Roma alle Olimpiadi 2024, è una decisione saggia e giusta. Ho trattato di alcuni aspetti di merito su Formiche.net nel giugno scorso e su Avvenire alcune settimane fa.

E’ utile ricordare che il New York Times del primo agosto ha salutato l’inizio delle Olimpiadi di Rio de Janeiro con un lungo editoriale in cui si chiedeva perché città e Stati corteggiano così ardentemente le difficoltà organizzative, i costi e i rischi di sicurezza che comporta ospitare i Giochi. Ci sono voluti trent’anni perché Montreal saldasse gli impegni finanziari contratti per le Olimpiadi del 1976; in quel lasso di tempo lo stadio costruito per l’occasione ha preso il nomignolo di The Big Owe (il Grande Debito), che, peraltro, mantiene ancora nel gergo colloquiale degli abitanti della capitale del Quebec. Gran parte delle infrastrutture per i Giochi di Atene (considerati, in un pregevole saggio di quattro economisti greci, come la goccia che ha fatto traboccare il vaso e innescato la crisi degli ultimi anni) sono rimaste inutilizzate sino a pochi mesi fa quando l’ormai decrepito villaggio olimpico, considerato «un cumulo di rovine», è stato adibito ad alloggio temporaneo per circa 3.000 migranti (i quali protestano per le condizioni di degrado). Il Presidente dello Stato di Rio ha indicato la possibilità di un “fallimento tecnico”: ciò implicherebbe che i lavoratori sarebbero pagati e alcuni servizi essenziali resterebbero in funzione, ma alle imprese coinvolte nei Giochi verrebbero offerti concordati (con uno sconto del 70%-80% rispetto a quanto pattuito inizialmente).

Si vuole che anche Roma ricorra ad un ‘fallimento tecnico’, riducendo al minimo i servizi essenziali (trasporti, acqua, rifiuti), addossandone la responsabilità a chi al governo della città?

Può sembrare restrittivo esaminare le Olimpiadi  con il metro dell’analisi costi benefici, ma ci sono Stati e Città che devono utilizzarlo in questo modo poiché hanno i conti in difficoltà e servizi pubblici inadeguati. C’è una vasta letteratura, per indurre a ritenere che sotto il profilo economico e finanziario, ospitare i Giochi sia una perdita netta per la città e lo Stato che decidono di farlo. Basta scorrere il Social Science Research Network (la più vasta biblioteca telematica di economia e finanza) per leggere circa 400 saggi su questo argomento. La conclusione generale è che, in termini economico-finanziari, la spesa non vale l’impresa,

Ci sono stati Giochi i cui benefici sono difficilmente quantificabili. Ad esempio, quelli di Roma nel 1960 furono uno segni del “miracolo economico” (che si afflosciò pochi anni dopo) e consentirono all’Italia di entrare in quello che allora veniva chiamato il consesso delle grandi potenze. Le Olimpiadi di Soci del 2014 (che costarono alla Federazione Russa 51 miliardi di dollari) e quelle di Pechino del 2008 (di cui non è stato mai rivelato il costo finanziario) ebbero una funzione analoga: un diploma di valore internazionale (anche se i Giochi invernali di Soci mostrarono molte ombre e non fecero necessariamente brillante l’immagine di Putin all’estero).

Oggi l’Italia non necessita di entrare tra le grandi potenze e Roma tra le grandi capitali. Deveo, però, essere il regola con i patti sottoscritti: per legge costituzionale rinforzata, si sarebbe dovuto raggiungere l’equilibrio strutturale di bilancio nel 2014, data che oggi sembra rimandata sine die, avremmo dovuto portare il debito pubblico da poco più del 100% del Pil nel 1992 al 60% nel 2010 (o giù di lì) e stiamo veleggiando verso il 135% del Pil. Il tasso di disoccupazione è quasi raddoppiato in dieci anni, e quello di disoccupazione giovanile giunto a livelli da Maghreb. In questo contesto, vagheggiare Olimpiadi o si è sconsiderati in buona fede o si hanno secondi fini. Tranne ovviamente che i costi (compresi quelli di sicurezza, di organizzazione e di miglioramento delle infrastrutture, ad iniziare da trasporti, acqua, rifiuti) non vengano presi interamente in carico da chi i Giochi tanto li vuole.

Put your money where your heart is. ‘Metti i tuoi soldi, dove è il tuo cuore’, come dice un proverbio americano. In tal caso, il Comitato Olimpico dovrebbe versare alcuni milioni di dollari (se mi si chiede, farò i conteggi) nelle casse del Campidoglio, come anticipo per i lavori da farsi.

Cosa penso delle Olimpiadi a Roma

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