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Chi comanda in Mps? Chi ha più voce in capitolo su presente e futuro del Monte dei Paschi di Siena dopo la rottamazione del vertice dell’istituto senese? Il Tesoro, che ha il 4% del capitale, o le banche d’affari che stanno curando il contrastato piano di salvataggio e rilancio della banca? Le domande in queste ore stanno circolando tra piccoli azionisti, analisti e addetti ai lavori. La risposta, per molti, è la seguente: il pallino ce l’ha in mano la banca d’affari statunitense Jp Morgan. Ecco fatti, nomi, ricostruzioni e indiscrezioni sulle ultime mosse che hanno scosso Mps e sulle prossime mosse che con tutta probabilità Jp Morgan e Mediobanca compiranno con il beneplacito del ministero dell’Economia, dunque del governo (come è già avvenuto per la defenestrazione di Fabrizio Viola e di Massimo Tononi rispettivamente dalle cariche di amministratore delegato e di presidente del Monte), dopo quelle già compiute tra mezze verità e qualche frottola.

IL RUOLO DI VITTORIO GRILLI

Innanzi tutto, va ricordato che il piano in corso per il salvataggio della banca senese, che non ha superato gli stress test europei di luglio, è firmato proprio da Jp Morgan, che in Italia ha come punto di riferimento l’ex ministro dell’Economia, Vittorio Grilli (da maggio del 2014 presidente del Corporate & Investment Bank per l’area Europa, Medio Oriente e Africa della banca d’affari)in tandem con la Mediobanca guidata da Alberto Nagel. Tale piano si basa su due passaggi chiave: la vendita di un maxi pacchetto di sofferenze da 27,7 miliardi lordi al prezzo di poco più di 9 miliardi e un successivo aumento di capitale da un massimo di 5 miliardi (che tuttavia dovrebbero ridursi anche attraverso l’ormai probabile conversione in azioni di una parte delle obbligazioni). In concorrenza con questo progetto, c’era anche quello messo a punto da Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico del governo di Mario Monti insieme con Grilli. Ma sembra – secondo alcuni indiscrezioni – che sia stato proprio l’ex collega “di governo” a bloccare il piano del fondatore di Italia Unica (il partito fondato e poi affondato dallo stesso Passera).

LE FRIZIONI TRA VIOLA E JP MORGAN
In effetti la Jp Morgan di Grilli, sempre stando ad alcuni rumors finanziari, avrebbe giocato un ruolo chiave un po’ in tutte le questioni che hanno riguardato il Monte negli ultimissimi tempi. A cominciare dall’uscita dell’amministratore delegato, Fabrizio Viola, che non avrebbe concordato con Jp Morgan su alcune modifiche da apportare all’impianto del piano di salvataggio. Tra i nodi del contendere, la tempistica della ricapitalizzazione, che i consulenti avrebbero voluto fare slittare al nuovo anno per evitare che andasse ad accavallarsi con il referendum costituzionale e tutta l’incertezza che esso trascina con sé (qui la ricostruzione di Formiche.net con i timori di Grilli dopo i report di Morgan Stanley e Goldman Sachs). Con l’uscita di Viola e il recente arrivo di Marco Morelli, alla guida di Bofa Merrill Lynch in Italia e con un passato proprio in Jp Morgan, l’obiettivo di rimandare l’operazione al 2017 è stato raggiunto. Ma le tensioni con Viola sembra abbiano riguardato anche le commissioni da riconoscere al consorzio di garanzia dell’aumento di capitale, guidato appunto da Jp Morgan e Mediobanca (come già riferito da Formiche.net, Reuters ha calcolato che dovrebbero aggirarsi sui 250 milioni). Insomma, la banca d’affari di cui Grilli è esponente di spicco anche in Italia avrebbe avuto un ruolo determinante nella defenestrazione di Viola, poi di fatto avvenuta tramite una telefonata di Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia (il Tesoro è il primo socio singolo di Mps, con il 4 per cento).

LE TENSIONI FRA TESORO E TONONI

Ma subito dopo Viola, a sorpresa, ha deciso di fare un passo indietro anche il presidente dell’istituto senese, Massimo Tononi. Dietro alla decisione, stando sempre a voci, ci sarebbe l’irritazione del Tesoro per la possibile divulgazione alla stampa della telefonata ricevuta da Padoan per chiedere l’uscita di Viola. Ma su Tononi si sarebbero appuntati anche i rilievi di Grilli perché il presidente uscente di Mps, già vicino a Romano Prodi, non aveva contrastato il piano elaborato da Passera, a differenza di banche d’affari e advisor di Mps: significativa a questo proposito l’astensione di Tononi sul punto specifico durante un cda del Monte. Il sostituto di Tononi sarà nominato nell’assemblea degli azionisti che si riunirà tra ottobre e novembre, ma secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano “in pole position per la successione c’è Antonino Turicchi, alto dirigente del ministero dell’Economia da sempre vicino all’ex direttore generale e ministro Vittorio Grilli, oggi a capo della Jp Morgan in Italia e in quanto tale regista dell’operazione Mps”.

IL NODO DEL PRESTITO

E poi c’è il prestito ponte che dovrà essere erogato a Mps in costanza della cessione della parte più consistente e meno rischiosa, pari a circa 6 miliardi, del pacchetto di sofferenze da cartolarizzare (la cosiddetta tranche senior). Chi lo concederà è presto detto: Jp Morgan. La necessità del finanziamento si spiega con i tempi troppo lunghi per attivare su questa tranche di sofferenze cartolarizzate la cosiddetta garanzia pubblica Gacs. “Finora sappiamo – afferma Francesco Boccia, presidente Pd della Commissione di bilancio della Camera, in una intervista al Fatto Quotidiano – che Jp Morgan e un consorzio di banche hanno concesso un prestito ponte per ripulire i bilanci dalle sofferenze, che viene garantito dallo Stato e su cui Monte dei Paschi paga commissioni per centinaia di milioni. Le banche non rischiano nulla e guadagnano, Mps compra tempo a caro prezzo e nel frattempo non si è deciso nulla”. In realtà, il prestito ponte di Jp Morgan non è ancora stato erogato, perché, come scrive Isabella Bufacchi sul Sole 24 ore, serve ancora “la definizione dell’importo recuperabile al netto delle svalutazioni” dalla cartolarizzazione del maxi pacchetto di sofferenze. Le complicazioni all’avvio del progetto non mancano: il lavoro al neo ad Morelli non mancherà.

Mps, Jp Morgan e il ruolo di Vittorio Grilli nel Monte dei Paschi di Siena

Di Michele Arnese e Federico Fornaro

Chi comanda in Mps? Chi ha più voce in capitolo su presente e futuro del Monte dei Paschi di Siena dopo la rottamazione del vertice dell'istituto senese? Il Tesoro, che ha il 4% del capitale, o le banche d'affari che stanno curando il contrastato piano di salvataggio e rilancio della banca? Le domande in queste ore stanno circolando tra piccoli…

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