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Il sessantaquattrenne bretone Vincent Bolloré ha colpito nel momento in cui l’Italia è più debole: c’è un esecutivo a cui si danno tre o quattro mesi di vita prima di varare una nuova legge elettorale ed andare alle urne.

Bolloré, ed i suoi stretti collaboratori, hanno tenuto conto non solo del fragile quadro politico italiano ma anche e soprattutto di quello socio-economico ben sintetizzato nelle considerazioni generali del cinquantesimo rapporto sulla situazione sociale del Paese del Censis, l’ultimo firmato da uno dei creatori dell’istituto Giuseppe De Rita: una realtà in prolungata e infeconda sospensione. Quindi un’Italia sconfortata che si chiede se la prolungata recessione non sia un episodio contingente (dovuto sia alla capacità del ceto imprenditoriale sia alla insipienza della politica) ma la dimostrazione che la stagnazione secolare è la condizione tipica del Paese. Escono sempre più frequentemente saggi di storia economica in cui si ricorda che la stagnazione secolare è stata caratteristica di fondo delle società italiana, sino a poco più di 150 anni fa divisa tra Stati e staterelli di derivazione straniera, in cui il Rinascimento fu un fenomeno puntiforme di breve durata e dopo l’unità d’Italia, se non la stagnazione, tassi crescita inferiori a quelli delle maggiori potenze europee, si sono avuti unicamente in età giolittiana (grazie all’apertura dell’economia al resto d’Europa) e nell’immediato secondo dopo Guerra, gli anni del miracolo economico. Per ricadere poi in profonde divisioni, in un Sud sempre più arretrato e che frenava i tentativi del resto del Paese di agganciarsi al Nord, e quindi agli elementi più dinamici del resto d’Europa. Per gran parte degli italiani la stagnazione secolare è la condizione verso cui stiamo tornando, con prospettive drammatiche per figli e nipoti. Quindi, dopo avere perso la Fiat, dove aver dato allo stesso Bolloré il ruolo di azionista dominante della Telecom, dopo averne viste di cotte e di crude, perché accalorarsi se Vivendi con una capitalizzazione di circa 24 miliardi di euro vuole prendersi una Mediaset con una capitalizzazione di poco più di quattro miliardi di euro?

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E’ su questo clima che conta Bolloré nella sua disfida contro Berlusconi, la cui famiglia sarebbe meno unita e meno coesa di quello che sembra. Questo clima italiano contrappone un disegno preciso, sostenuto dal governo francese, il quale, pur pieno di problemi interni e con elezioni presidenziali quasi alle porte, sa trovare coesione, e forza, su progetti specifici.

Non dimentichiamo che Vivendi nasce da un’azienda pubblica: è nata nel 1998 (quindi abbastanza recente) grazie alla trasformazione della Compagnie Générale des Eaux, una utility pubblica privatizzata. Quindi, molti dei suoi cadres non solo sono in stretto contatto con i Ministeri ma hanno una forte interazione con il settore pubblico e con la politica. Dopo una fase di acquisizioni tesa a sfidare gli Usa in tema di media e tecnologia- fase che fino male tanto che nel 2002 se ne paventò il fallimento – è cominciata una seconda fase mirata a creare un conglomerato di media e telecom Mediterraneo tale da servire da Parigi l’intero bacino.

Si può essere favorevoli o contrari al progetto. Si può pensare che metta a rischio la concorrenza nell’intera Europa. E’ comunque un progetto, svelato poco a poco attraverso il programma di acquisizioni e dotato di un forte supporto politico.

Cosa può contrapporgli il milanese Berlusconi se non le carte bollate in tribunale e la solidarietà di varie autorità ed enti? Una ragione in più per superare questa fase transitoria e giungere ad un governo di larghe intese.

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Chi appoggia le mire di Bolloré con Vivendi su Mediaset

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