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Gli Stati Uniti hanno aperto un nuovo fronte nella lotta allo Stato islamico, bombardando le postazioni dei baghdadisti in Libia su esplicito invito del governo di Tripoli; e questo può cambiare qualcosa anche per l’Italia.

ROMA ERA STATA AVVISATA

I ministri degli Esteri Paolo Gentiloni e della Difesa Roberta Pinotti erano stati informati della richiesta del premier libico Fayez Serraj agli Stati Uniti il 21 luglio, durante una visita a Washington. Gli americani avevano comunicato di aver espresso disponibilità all’azione, e Roma s’era detta favorevole, al punto che l’avviso ufficiale del “Go!” alle operazioni di lunedì 1 agosto è arrivato con soltanto un giorno di anticipo, tanto era già programmato. Queste informazioni sono riportate da Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera: la giornalista aggiunge che entro fine mese anche la base di Sigonella potrebbe essere utilizzata per far alzare in volo i velivoli senza pilota Predator che gli Usa hanno spostato, armati, in Sicilia, dopo che da gennaio s’era chiusa la trattativa tra Roma e Washington sullo schieramento; si ricorderà che fu il Wall Street Journal a far trapelare la notizia alla fine di febbraio, mentre entrambi i governi cercavano di tenerla nascosta. Questo accordo prevede che i droni decollino da Sigonella soltanto in caso di reale difficoltà di unità a terra: è un specie di escamotage politico che fa passare la missione degli UAV come una sorta di extrema ratio a supporto di soldati alleati, e lo si capisce perché questo genere di aerei non è normalmente utilizzato per il supporto ravvicinato alle truppe, e soprattutto perché quelle truppe non ci sono. Ci sono in realtà una manciata di forze speciali, americane, ma anche francesi, inglesi e italiane, che hanno avuto più che altro il compito di prendere contatti con il mosaico frastagliato delle milizie libiche, e addestrarne alcune di fiducia (parecchie misuratine) su come illuminare i bersagli per i raid aerei, ma è difficile che queste finiscano sotto i colpi dei baghdisti libici.

LA PRASSI OPERATIVA

Il New York Times ha parlato di uno schema operativo già visto in Siria con alcune fazioni ribelli. Gli obiettivi vengono comunicati definitivamente al comando aereo dai libici fidati sul campo (miliziani che hanno ricevuto i rudimenti proprio da quelle forze speciali), anche se è noto che la costa libica è costantemente osservata e mappata dagli aerei da intelligence occidentali; concetto ribadito dal colonnello Mark Cheadle, portavoce di Africom, il comando Africa del Pentagono, che ha detto di aver a disposizione tutte le “informazioni chiave”. Dal 24 luglio l’unità anfibia “Wasp” staziona nel Mediterraneo a largo della Libia con a bordo il ready group della Ventiduesima Marine Expeditionary Unity (22nd MEU), che include anche gli aerei d’attacco AV-8 Harrier e gli elicotteri AH1 SuperCobra dei Marines, più velivoli da trasporto come i MV22 Osprey e i Ch53 Sea Stallion. Queste unità della VMM264 Black Knights (il loro nome da battaglia) negli ultimi giorni avrebbero condotto diverse esercitazioni notturne per prepararsi all’azione (nota: si tratta di informazioni non ufficiali). Da Pantelleria invece i voli del Beechcraft King Air 350ER con codice di coda “N351DY” sono diventati un gioco di società per appassionati, che si divertono a tracciarne le rotte su siti come Flightradar24.com nelle varie occasioni in cui i piloti lasciano – chissà quanto inavvertitamente, o quanto per dare un avvertimento – il trasponder della geolocalizzazione aperto (addirittura la Cnn è andata davanti all’aeroporto dell’isola siciliana e ha ripreso il velivolo durante l’inizio e il rientro dalle missioni).

LE TRE FASI DEL PIANO AMERICANO

Fasi preliminari del piano gestito da tempo attraverso Africom, che ha sede alle Kelly Barracks di Stoccarda, in Germania. Una fonte interna al Pentagono ne ha spiegato i tre step operativi al sito specializzato Military Times: primo, Operation Odyssey Resolve, ossia voli di intelligence, sorveglianza e ricognizione; poi Operation Junction Serpent, che ha fornito altre informazioni sul targeting; infine il terzo elemento, quello attuale, Operation Odyssey Lightning, che comprende l’invio di aerei d’attacco a colpire gli obiettivi individuati.

L’OPERAZIONE DEL 1 AGOSTO

Per il momento non è stato ufficializzato come si è svolta la prima serie di attacchi aerei, che sono stati due, uno contro un carro armato e un altro contro due tecniche (le jeep armate di cannoni) dei baghdadisti. La ricostruzione più probabile l’ha fornita il giornalista Babak Taghvee, che è esperto di questioni militari mediorientali, specializzato sull’aviazione. Tre Osprey sarebbero decollati dal ponte della Wasp con a supporto due SuperCobra (codici di coda EH-40 e EH42), i quali avrebbero colpito il tank e i pickup armati insieme a un UAV MQ9 Predator-B decollato da Sigonella. Non è chiaro perché sia stati impiegati i velivoli da trasporto. Altro aspetto, secondo le informazioni ricevute da Taghvee: il velivolo senza pilota alzatosi dalla base Usa/Nato in Sicilia avrebbe bombardato, mentre per il CorSera la possibilità di azione diretta dovrebbe arrivare entro qualche giorni, “prima di fine mese”.

Mercoledì il ministro Pinotti sarà in parlamento e riferirà sulla questione. L’apporto logistico italiano, soprattutto nell’ottica di un prolungamento per settimane o mesi della missione, sarà fondamentale per combattere in questo nuovo fronte, su cui, indipendentemente se Roma deciderà di partecipare o meno alle azioni dirette, l’Italia si troverà in prima linea anche soltanto concedendo le basi per i raid americani. Gentiloni ha annunciato oggi, martedì 2 agosto, che Roma valuterà la richiesta americana per ogni genere di uso della base di Sigonella.

 

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