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Poco dopo lo scoppio del conflitto a Gaza Jon Medved, amministratore delegato di OurCrowd, piattaforma di investimenti di rischio globale, aveva dichiarato che “la grande sfida per un’economia startup è assicurarsi che il denaro continui a fluire. Ha bisogno di investimenti”. E la “startup nation” per eccellenza, Israele, sembra rimanere a galla proprio grazie al settore tecnologico. Nonostante la guerra stia sconquassando le casse dell’economia nazionale, il comparto tech sembrerebbe quello che ha reagito meglio allo shock. Dal report della Startup Nation Central (Snc) è emerso che dall’inizio del conflitto sono stati registrati 220 investimenti privati grazie a cui sono stati racimolati 3,1 miliardi di dollari, di cui un terzo raccolto dalle società che si occupano di sicurezza tech. Next Insurance è quella che ha rendicontato di più, con 265 milioni di dollari ricevuti in due tornate di finanziamenti esteri.

Non è l’unica. In generale, a trainare sono state le aziende che lavorano con la tecnologia sanitaria, le soluzioni software aziendali e più in generale con la sicurezza che, complessivamente, ha ottenuto 1,1 miliardi di dollari. Le compagnie che invece si occupano di fintech e questioni aziendali si sono invece fermata a un miliardo di dollari complessivi. Anche le fusioni e le acquisizioni societarie sono state importanti per questa spinta. La somma di queste a partire dal 7 ottobre è pari a 3,7 miliardi di dollari, con diverse operazioni record. Nove di queste hanno superato i 100 milioni di dollari – Talno Cyber Security, 625 milioni; Dig Security, Avalor, Gem, 350 milioni; Flow Security, 200 milioni; Spera Security, 130 milioni – mentre nel comparto sanitario è stato chiuso il terzo accordo più grande con CartiHeal (425 milioni di dollari).

“Israele continua ad attrarre investitori alla ricerca di soluzioni a sfide globali condivise con opportunità ad alto potenziale”, ha commentato il Ceo della Snc, Avi Hasson. “Con valutazioni interessanti e un significativo potenziale di crescita, l’ecosistema tecnologico israeliano sta dimostrando la sua caratteristica resilienza. Prevedo di assistere a una nuova ondata di innovazione, un baby boom di startup di aziende tecnologiche, che creerà opportunità ancora più dinamiche per il nostro settore dopo questa guerra”, ha aggiunto.

C’era preoccupazione per le conseguenze del conflitto e sono state confermate dai numeri non di certo ottimali per l’economia israeliana. Con una nazione interamente paralizzata, visto che i suoi lavoratori sono stati costretti a indossare un’uniforme e lasciare la propria attività quotidiana, era difficile sperare in un esito diverso. I timori riguardavano anche l’impatto sul settore tecnologico. Il 15% della sua forza lavoro è stato richiamato al fronte, lasciando il posto di lavoro e aumentando le paure degli investitori stranieri, che temevano – e temono tuttora – che la guerra possa influenzare lo sviluppo.

Lo Stato ebraico è un fiore all’occhiello della tecnologia non solo in Medio Oriente ma anche sul resto del panorama internazionale. Oltre a rappresentare quasi un quinto (16%) dell’occupazione, vale anche più della metà delle esportazioni complessive, un terzo delle imposte sul reddito e quasi un quinto della produzione economica nazionale. Insomma, è il cavallo di battaglia a cui Tel Aviv si aggrappa in tempi di pace e, adesso, anche di guerra.

Investimenti e acquisizioni. Il settore tecnologico tiene a galla l'economia israeliana

Nonostante la guerra stia dilapidando le casse del governo, il comparto più all’avanguardia dello Stato ebraico traina tutto il resto. Dal 7 ottobre, gli investimenti ammontano a 3,1 miliardi di dollari. Non da meno il valore delle fusioni e delle acquisizioni

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