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Tra le tante novità del decreto fiscale, appena licenziato dalla Camera dei deputati, c’è anche l’articolo 5 bis. Consente di porre fine ad un contenzioso con l’Erario che dura da troppi anni. Per le cause in essere fino al 1 aprile 2010, riguardanti IVA ed accise, è possibile liquidare tutto pagando il 20 per cento dell’importo oggetto della controversia. Il pagamento dovrà avvenire “mediante rate annuali, non superiori a sette”. L’importo della transazione sarà “secco”. Riguarderà, cioè, solo l’importo delle tasse: niente interessi, aggi e via dicendo. Un conteggio elementare dimostra che il carico sul contribuente in lite sarà pari, più o meno, al 3 per cento all’anno. Se non si tratta di un condono, non sapremo altrimenti definirlo.

Nel firmamento parlamentare questa norma è stata, per anni, una stella cadente. Più volte ipotizzata, ma poi riposta nel cassetto, in un sussulto di consapevolezza. A nostra memoria fu proposta anche a Mario Monti, quand’era presidente del Consiglio. Ma la reazione dei vari ministri, a cominciare da Via XX Settembre, sconsigliò di insistere su un argomento così scivoloso. Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini. Ma così va il mondo nell’era di Matteo Renzi.

Personalmente non siamo contrari a chiudere una partita che si trascina da troppo tempo, con costi a carico di tutti. Che pesano sul contribuente, ma anche sull’Amministrazione. La giustizia lumaca non è solo una prerogativa del penale o del civile. Il punto di domanda riguarda il prezzo. Somiglia troppo ad una svendita di fine stagione a vantaggio di pochi fortunati. Non solo: contraddice l’impianto complessivo dell’intero provvedimento.

Due i casi emblematici. Nella giusta lotta contro l’evasione è stabilito che ogni trimestre si dovrà trasmettere all’Erario il cosiddetto “spesometro” e i dati della liquidazione IVA. Da questa misura dovrebbero derivare entrate per circa 2 miliardi. Ipotesi dubbia, visto che l’Erario non riesce a controllare neppure le dichiarazioni annuali dell’IVA, con un arretrato fermo al 2014. Ci sono poi i costi aggiuntivi a carico del contribuente. Confprofessioni del Lazio parla addirittura di 10 miliardi per il periodo 2017 – 20. Forse non sarà così, ma comunque non sarà una passeggiata di salute.

Il secondo caso riguarda i poveri cristi. Quegli automobilisti, cioè, che sono incorsi nelle grinfie delle varie polizie urbane a caccia di soldi per le rispettive Amministrazioni comunali. L’arretrato da pagare è di tutto rispetto. In una vecchia indagine, gli Ispettori del Tesoro accertarono, per il solo Comune di Roma, una massa di residui – multe emesse ma non pagate – per circa 1 miliardo di euro. Sono quindi milioni gli automobilisti che si aspettavano un atto di clemenza. Tanto più che molto spesso le multe non sono notificate in tempo utile, visto che la scorciatoia dell’avviso pubblicato nella “casa del comune” – articolo 140 del cpc – somiglia molte volte ad un semplice raggiro.

In questo caso lo sconto è pari ai soli interessi per il mancato pagamento. Ed allora facciamo un po’ di conti. In caso di mancato pagamento alla multa “piena” originaria (già aumentata del 30 per cento) si somma il 50 per cento del relativo importo, come ulteriore sanzione amministrativa, quindi il recupero delle spese sostenute dall’Ente per la notifica ed infine l’aggio. Grazie a queste alchimie, l’importo “pieno” originario aumenta di circa il 90 per cento. Su questo ammontare vengono quindi calcolati gli interessi di mora, che variano naturalmente con il trascorrere del tempo, ma sono del tutto irrisori. Nel caso che abbiamo esaminato, una multa elevata nel 2007 ha prodotto alla fine un rincaro pari ad appena il 7,7 per cento. Il risparmio promesso dal decreto, eliminando i soli interessi di mora.

La sproporzione tra chi aderisce al condono per il contenzioso relativo all’Iva ed alle accise ed il povero automobilista è di un’evidenza palmare. Il primo risparmia l’80 per cento delle imposte oggetto della contesa e paga in 7 anni, il secondo ha una dilazione di 2 anni, ma deve pagare nei 24 mesi più del 90 per cento della somma dovuta: la multa originaria maggiorata dalle voci precedentemente indicate. Non ci sembra né giusto né equo. Ed allora un piccolo consiglio. Riduciamo il beneficio dei pochi – ad esempio al 50 per cento – ed aumentiamo il ristoro per tutti gli altri. Che sono la stragrande maggioranza. Calcoli adeguati possono garantire l’equivalenza finanziaria, senza pesare sulla finanza pubblica italiana. Non sapremo dire se questo sia un consiglio “di sinistra”. Di certo non sarebbe un atto sconveniente.

Ecco il condono contenuto nel decreto fiscale

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