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È opinione di molti che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea avrà molteplici riflessi sull’economia mondiale e continentale, per molti versi imprevedibili e diversi a seconda si considerino gli effetti a breve, medio e lungo periodo. Tale prospettiva è ancor più vera dal punto di vista del settore industriale

I dati diffusi ieri sulla produzione industriale dell’Italia e degli Stati Uniti, per esempio, non tengono conto degli effetti della Brexit, perché riferiti al mese in corso, ma di fatto segnalano dei segni meno.

IL REPORT DI CONFINDUSTRIA

Il Centro studi Confindustria rileva un calo della produzione industriale italiana dello 0,2% in giugno su maggio, quando è stato stimato un incremento dello 0,3% su aprile. Nel secondo trimestre 2016 l’attività  è aumentata dello 0,4% sul primo (da +0,6% sul quarto 2015). Il terzo trimestre eredita una variazione congiunturale nulla. La produzione al netto del diverso numero di giornate lavorative è avanzata in giugno dell’1,7% rispetto a giugno del 2015; in maggio si era avuto un progresso dell’1,9% sullo stesso mese dell’anno scorso. Gli ordini in volume hanno registrato un calo dello 0,4% in giugno su maggio (+1,0% su giugno 2015), quando erano aumentati dello 0,2% su aprile (+4,8% sui dodici mesi). Le valutazioni degli imprenditori – osserva il CsC – sono orientate a un’estrema prudenza e non lasciano intravedere un’accelerazione dell’attività nei mesi estivi. Poiché l’indagine di giugno è stata condotta nei primi 15 giorni del mese non include gli effetti della Brexit sul sentimento degli imprenditori. C’è da attendersi un peggioramento nei prossimi mesi.

COME VA LA MANIFATTURA USA

Ma se il vecchio continente piange anche il nuovo non sta meglio. In giugno l’attività manifatturiera negli Usa ha rallentato il passo. L’indice redatto dalla Federal Reserve di Richmond si è attestato in ribasso, attestandosi a -7 punti, dai -1 punti del mese precedente. Un valore sotto quota zero indica una fase di contrazione delle attività economiche, viceversa una lettura sopra tale soglia segnala una fase di espansione. La componente che misura le consegne si è attestata a -3 punti, in questo caso meglio dei -8 punti di maggio. Per i Paesi europei le previsioni del dopo Brexit non sono delle migliori, soprattutto dal punto di vista delle esportazioni.

COSA DICONO GLI ANALISTI

La Brexit – rilevano gli analisti di Euler Hermes, la società di assicurazioni del credito all’estero del gruppo Allianz – costerà senz’altro più alla Germania, che potrebbe perdere nei prossimi tre anni oltre 6,8 miliardi di euro, o all’Olanda, così intimamente legata all’economia inglese da poter perdere, nello stesso periodo, fino a 3,6 miliardi di euro, soprattutto sul fronte dei servizi. Per Belgio e Francia, il contraccolpo potrebbe variare tra 2,4 e 2,8 miliardi di euro. Contando anche tutti gli altri paesi, in tre anni la Ue potrebbe lasciare sul campo tra i 15 e i 20 miliardi di esportazioni di beni e tra i 2 e i 3,5 miliardi nei servizi.

L’ANALISI DELLA SACE

Secondo Sace, che si basa su uno scenario macroeconomico di Oxford Economics, le vendite di made in Italy potrebbero ridursi già quest’anno dell’1,2%, con una perdita tra 200 e 500 milioni di euro, mentre l’anno prossimo la contrazione del nostro export potrebbe valere tra 600 milioni e 1,7 miliardi di euro. Tra i settori maggiormente penalizzati, la meccanica strumentale – con un calo dell’export tra 100 e 200 milioni di euro nel 2016 – e i mezzi di trasporto.

NESSUN PROBLEMA PER FCA

Tra i settori più interessati dalla Brexit c’è l’industria automotive. Il regno Unito non è solo il secondo principale mercato europeo dell’auto, ma è anche un importante centro di produzione. Nel paese vengono costruite ogni anno 1,6 milioni di vetture, per il 77% esportate all’estero, con l’Europa che vale da sola il 60%, con quasi 30 miliardi di euro di vendite.”Non prevediamo che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea –hanno fatto sapere dal gruppo automobilistico guidato da Sergio Marchionne  e John Elkann–  abbia per Fca particolari impatti sul fronte industriale o di altro tipo, sebbene l’esito del referendum ponga l’interrogativo su quella che sarà l’Europa del futuro. In particolare non ci attendiamo che il fatto di avere la sede fiscale in Gran Bretagna comporti conseguenze finanziarie o cambiamenti nella governance del Gruppo, data la distribuzione globale delle attività e sedi operative di Fca nei vari Paesi nel mondo”. Marchionne rispetto al comunicato stampa diffuso dal gruppo ha aggiunto solo un laconico “Ci adatteremo”.

trump Sergio Marchionne

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