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Napoletano nell’anima, filosofo ed esponente Pci, Pds, Ds, Pd. Alle primarie ha votato Renzi contro Bersani, ma ora lo giudica in difficoltà. Tuttavia, per ragioni profonde, Biagio De Giovanni ce l’ha in particolare con il suo sindaco, Luigi De Magistris, e non ne fa un mistero.

Professore lei ha affermato che Luigi De Magistris “seduce la città lazzaresca”. Che vuole dire?

Mi è capitato di mettere in evidenza la “plebeizzazione” della città di Napoli che attraverso la borghesia, la quale ha avuto un ruolo di civilizzazione anche attraverso i partiti, aveva vissuto un’evoluzione positiva. Una civilizzazione, direi. È successo quando tutte le disintermediazioni sono cadute ed è tornata in voga – con molta forza – l’idea del capo carismatico con il rapporto diretto con la folla, con le masse, con i cittadini (termine ormai in disuso). Allora, in questo magma, l’anima nascosta della storia di Napoli, ossia il ribellismo, la “masaniellite”, ha dilagato senza contrappesi. Il risultato è che la cultura non è più nel corpo della città e la stessa aristocrazia culturale di Napoli oggi vive appartata, perché non ha più alcun ruolo pubblico.

Se è un dato storico se ne sono già viste le conseguenze in passato; come andrà a finire stavolta?

Intanto, scommetto 100mila euro contro cento che De Magistris vincerà le elezioni, quindi governerà non so se altri cinque anni o, addirittura, come molti dicono ambirà a un proprio ruolo nazionale. La risposta immediata alla sua domanda è questa: andrà a finire che avremo altri cinque anni di “non governo” della città. Il concetto di “non governo” a Napoli è interessante perché la città non vuole essere governata e De Magistris, intelligentemente, ha giocato su questo lasciando immaginare che il “non governo” in realtà è “autogoverno”.

Mi sta dicendo che sarebbe sgradito chi volesse davvero governare Napoli?

Diciamo la verità: Napoli oggi è una città in cui ognuno fa quel che vuole. E De Magistris è riuscito a politicizzare questo aspetto. Le categorie politiche che usa sono chiarissime: “Autogestione popolare”, “La città che conquista sé stessa”. In questa campagna non è riuscito a dire una sola cosa che ha fatto, mentre tutti i problemi veri sono assolutamente ignorati.

E pensare che c’è chi vorrebbe esportarvi il modello di Milano in cui due parti tradizionali, competitive tra loro, si incarnano in due candidature riconosciute. Come la vede?

La distanza fra le due “Italie” sta diventando incommensurabile. Il modello milanese nasce in una città che è diventata una grande città europea, dunque è del tutto normale che lo scontro politico avvenga fra due soggetti, Sala e Parisi, molto simili (a parte la maggiore simpatia di Parisi dal punto di vista fisiognomico) e che il dibattito si svolga al livello dei problemi reali della città. Qui, invece, i problemi reali sono ignorati, perché si può giocare tutto sul dato plebiscitario di una massa libera da ogni vincolo. Che poi ci sia una camorra polverizzata che spara quotidianamente, che non si possa più andare nei quartieri del centro storico durante la notte, tutto ciò diventa indifferente. Sono arrabbiatissimo.

Eppure, in termini di populismo, se ne dicevano tante anche dell’ex sindaco di Salerno, De Luca, oggi eletto presidente della Campania. Forse che De Magistris l’ha superato?

De Luca è problema complesso, ma è l’opposto di De Magistris. Lui è l’opposto del “non governo”. De Luca, semmai, è l’eccesso di governo, un decisionista puro. Al di là degli eccessi che si sono vissuti con De Luca (che tra l’altro è un mio laureato negli anni ’70) non si può dire che Salerno non sia cambiata in meglio. Ora non so che cosa riuscirà a fare a livello regionale. Intanto, abbiamo visto che non ha inciso sulle elezioni comunali se non nel salernitano dove però – faccio notare – è stato tolto di mezzo il marchio Pd dalle schede.

Che deve fare Renzi?

Primo: deve lavorare perché il 19 giugno (data dei ballottaggi ndr) vada in un certo modo. Sottolineo questo aspetto perché in un giorno può cambiare tutto. Se a Milano vince Parisi e a Roma vince Raggi, non dico che Renzi andrà a casa ma ci manca poco. Se invece vincono Sala e Giachetti, (obiettivo non impossibile perché nei ballottaggi si riparte da zero), allora Renzi trova una formidabile difesa rispetto alle sue difficoltà che nascono da una forte centralizzazione e da una totale ignoranza di ciò che avviene fuori da palazzo Chigi.

Non dimentichiamo di tenere un occhio anche a Torino, perché se dovesse cedere Piero Fassino

Certamente. Diamo pure per scontato Napoli che se vogliamo è marginale: a nessuno frega niente di cosa succede qui, dove il sindaco uscente prenderà tra il 60 e il 70 per cento (si segni questi numeri e vediamo se indovino) mentre Gianni Lettieri non andrà oltre il 30-35 per cento. Ma se perde in colpo solo Torino, Milano e Roma, Renzi se ne va proprio a casa perché al 90 per cento significa una probabile sconfitta al referendum. Il renzismo entrerebbe in crisi forse senza possibilità di ripresa, anche perché il premier si è tagliato tutti i ponti alle spalle. Glielo dice uno che è stato renziano e che l’ha votato contro Bersani alle primarie.

In particolare Renzi ha intenzione di intervenire sul partito a Napoli, che cosa gli suggerisce?

Renzi ha fatto una grande operazione politica (io so che cosa è stato il Partito comunista in Italia), però poi è stato abbacinato dal successo. Forse dovrebbe ricostruire quei ponti che ha distrutto, rappresentati da quelle mediazioni sociali che ha sbaraccato, ma senza le quali non si riesce a campare politicamente. No, nemmeno con il plebiscitarismo governativo si va avanti.

Lei ha dipinto un quadro di Napoli in cui spicca un De Magistris in regata solitaria

O, meglio, sa come diciamo a Napoli? Non avrà bisogno di tradurre. “O’ gallo ‘ncoppa ‘a munnezza”.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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