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Mi fanno ridere quei cosiddetti intellettuali che si stanno scandalizzando per l’imprudenza che attribuiscono a Matteo Renzi di avere voluto spaccare il Paese sulla riforma costituzionale, prima facendola approvare in Parlamento con una maggioranza inferiore ai due terzi dei voti dei componenti di ciascuna Camera e poi spaccando il Paese – dicono – fra il sì e il no referendario. Una spaccatura – pontificano costoro – che sarà destinata a sopravvivere al referendum, qualunque ne sarà il risultato.

Questi soloni per essere coerenti dovrebbero sostenere l’eliminazione del referendum, di cui invece reclamano un ricorso più facile, eliminando per esempio per quello abrogativo delle leggi ordinarie, o parti di esse, il cosiddetto quorum dei partecipanti. Che non possono essere meno della metà più uno degli aventi diritto al voto senza vanificare il risultato della prova referendaria. A sentire e seguire questi presunti iperdemocratici, nel 1946 gli italiani non avrebbero dovuto essere chiamati alle urne per scegliere fra Monarchia e Repubblica, pur di evitare di dividerli. E, al limite, non dovrebbero più esserci elezioni, perché anch’esse dividono.

Il referendum, signori miei, per quanto vogliate o possiate imbrogliare le carte e le idee, non può che dividere. Il suo risultato non può che essere monosillabo. O si dice sì o si dice no. E né il sì né il no hanno bisogno di aggettivi per essere spiegati. Quando vi si ricorre lo si fa per pasticciare, non per chiarire.

Ciò vale naturalmente pure per Silvio Berlusconi e i suoi amici, familiari o no che siano, anche perché gli aggettivi non bastano mai, risultando sempre parziali e non convincenti. Gli aggettivi sono come le ciliege: uno tira l’altro.

L’ex presidente del Consiglio ha interrotto il suo lungo silenzio di convalescente in questa campagna referendaria per cercare di rasserenare i sospettosi e allarmati Matteo Salvini e Giorgia Meloni e annunciare di fronte alle telecamere di casa – quelle del Tg5 – che il suo no alla riforma costituzionale è “forte, deciso e responsabile”. Non uno ma tre aggettivi gli sono stati necessari per interloquire a distanza col segretario della Lega e con la sorella dei Fratelli d’Italia. Che però continuano e continueranno ad essere sospettosi perché quel “responsabile” puzza loro di bruciato. Fa pensare che gli altri no – non solo quelli dei grillini ma anche quelli leghisti e di destra – non siano invece responsabili. E in che cosa consisterebbe la responsabilità? E giù via altri sospetti, dei quali si è subito fatto portavoce l’infaticabile Marco Travaglio sul solito Fatto Quotidiano auspicando in un titolo sopra la testata che Berlusconi, fatto questo sforzo oratorio, ora “torni in letargo”. Non a caso, del resto, nel comunicato congiunto emesso dopo un incontro che Berlusconi ha avuto con Salvini e la Meloni, dei tre aggettivi usati nell’intervista al Tg5 n’è rimasto solo uno, a proposito della “ferma” opposizione alla riforma. L’aggettivo “responsabile” è risultato evidentemente troppo indigesto agli interlocutori del presidente di Forza Italia per accettarlo in un documento comune.

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I sospetti di chi non si fida del Cavaliere sono vari. Innanzitutto ch’egli nel segreto dell’urna voti sì come il suo amico fraterno Fedele Confalonieri. Che a questo punto potrà opporre tutte le smentite che vuole ai mormorii o umori raccolti dai suoi cronisti e inviati di fiducia, ma rimarrà ormai nella letteratura di questo referendum del 2016 come quello che, ritenendo troppo “fino” il no, come egli ha detto al Corriere della Sera senza smentire, preferisce il sì.

Un altro sospetto è che Berlusconi voglia investire una eventuale, e magari  in cuor suo sgradita, vittoria del no in una occasione di trattativa successiva con un Renzi indebolito per una molteplicità di cose su cui non ha avuto ancora il tempo o la voglia di soffermarsi bene: una modifica della legge elettorale per non essere obbligato la prossima volta a fare lista comune con i suoi reali o potenziali alleati, che hanno il solito inappagabile appetito, o un nuovo per quanto improbabile tentativo di riforma costituzionale, o una rottura fra Renzi e Angelino Alfano, ma anche Denis Verdini, che metterebbe definitivamente col sedere a terra i fuoriusciti da Forza Italia, o una semplice decantazione, cioè un rinvio di ogni scelta o decisione a tempi migliori.

Con l’ex presidente del Consiglio, si sa, tutto è possibile. L’uomo è imprevedibile. Non se ne fidano gli avversari, anche se adesso si stanno divertendo un mondo a sentirgli dire di Renzi quello che loro hanno sempre detto di lui, cioè della sua natura o vocazione “autoritaria”, dell’”uomo solo al comando” e altro ancora del vecchio repertorio antiberlusconiano. Ma non se ne fidano neppure gli amici, o amiche. Basta leggere quello che dice di “Silvio”, chiamato rigorosamente per nome, ogni volta che ha un cronista a portata di mano, la sempre più insofferente o scettica Daniela Santanchè: quella che una volta addirittura gli si contrappose come candidata a Palazzo Chigi accusandolo anche di avere una visione delle donne tutta “orizzontale” e per niente verticale, quale lei invece si considera tra una competizione e l’altra.

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Di questo maledetto inconveniente del risultato necessariamente monosillabo del referendum, al netto degli sforzi di Berlusconi di giocare con gli aggettivi come coi birilli, vorrei dire a chi se ne lamenta che ormai non è più soltanto il referendum costituzionale che divide il Paese. E che fa del dibattito politico un’arena infuocata.

E’ il Paese in sé che, purtroppo, è diventato culturalmente, visceralmente monosillabo. Come non vi sono più le mezze stagioni, così non vi sono più mezze misure nei giudizi sulle persone e sulle situazioni.

Mi ha impressionato nelle ultime ore il livore –come chiamarlo diversamente?- dei naviganti così efficacemente definiti “webeti” da Enrico Mentana alle prese con le foto e le notizie sulla moglie di Matteo Renzi. Che ha accompagnato il marito nella trasferta americana per la cena di commiato del presidente Barack Obama dalla Casa Bianca.

Non è tanto l’endorsement di Obama a Renzi che ha infastidito gli antipatizzanti del presidente del Consiglio italiano quanto il fatto che la moglie per stargli vicina abbia potuto assentarsi dalla scuola dove insegna, violando chissà quali e quanti limiti cui sono sottoposti i suoi o le sue colleghe.

Mi chiedo se è ancora un paese civile, un paese di sani di mente, quello in cui non solo si è così poco galanti verso una donna, ma si nega alla moglie del capo del governo il diritto e il dovere di svolgere i suoi ruoli di rappresentanza. Non so francamente se sia più pericolosa la vocazione autoritaria attribuita, a torto o a ragione, al presidente del Consiglio o la faziosità alla quale si è capaci di arrivare nel contrastarla.

Vi racconto sospetti e idiozie non solo dei webeti su referendum, Berlusconi e Renzi

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