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Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, boccia senza riserve il piano del governo Renzi (presentato all’Europa) di istituire un hotspot in mare per l’identificazione dei migranti che cercano di raggiungere le coste del nostro paese. Conversando con Repubblica, Galantino spiega che “l’hotspot è una riedizione in brutta copia dei luoghi di trattenimento delle persone. Le organizzazioni internazionali a tutela dei diritti umani, come anche la Fondazione Migrantes e la Caritas italiana, hanno già ricordato che i migranti salvati in mare hanno il diritto, sulla base di una storia personale e non di una lista di cosiddetti paesi sicuri, di presentare domanda d’asilo e al ricorso se una domanda non venisse accolta”.

L’ACCOGLIENZA NELLE DIOCESI ITALIANE

Ma il segretario generale della Cei dice anche di più e si sofferma sull’accoglienza nelle diocesi italiane, come richiesto esplicitamente dal Pontefice nell’Angelus del 6 settembre 2015. Galantino ricorda che diocesi, parrocchie e istituti religiosi “hanno messo a disposizione oltre duemila strutture per ospitare più di ventitremila richiedenti asilo e rifugiati, quasi cinquemila dei quali solo grazie ai contributi dei fedeli”. Insomma, sottolinea il numero due dei vescovi italiani, “un conto è riempirsi la bocca di aiutare le persone a casa loro e un conto è realizzare concreti progetti di cooperazione internazionale nei paesi d’origine dei migranti”.

LA POSIZIONE DELLE CHIESE DEL MEDIO ORIENTE

Qui Galantino tocca un nervo scoperto soprattutto per gli episcopati del vicino e Medio Oriente, che da tempo accusano l’Europa di “invogliare” in particolare i cristiani della Siria e dell’Iraq ad abbandonare le proprie case con vaghe promesse di un futuro roseo nel vecchio continente. I presuli locali, invece, più che “riempirsi la bocca di aiutare le persone a casa loro”, sostengono che la comunità internazionale deve compiere ogni sforzo perché quelle persone che cercano la fuga attraverso il Mediterraneo non partano. Una linea diametralmente opposta a quella del “rientro assistito” di cui parla il segretario generale della Cei.

I DUBBI NELL’EPISCOPATO ITALIANO

Il problema è che non solo all’interno dell’episcopato italiano, ma anche in quello europeo nei mesi scorsi si era levata la voce di chi faceva notare che l’accoglienza totale sarebbe stata difficilmente praticabile in contesti così diversi come sono quelli dei vari paesi comunitari. Una decina di giorni dopo l’appello del Papa, ad esempio, il cardinale Carlo Caffarra – allora arcivescovo di Bologna – spiegava che il processo “sarà inevitabilmente lento e ponderato” e che non avrebbe dovuto “limitarsi a un approccio emergenziale verso persone appena arrivate, per le quali sono attivi appositi centri”. I sei criteri guida illustrati dalla diocesi emiliana, allora, prevedevano l’accoglienza “di singoli o nuclei familiari già identificati e conosciuti per i quali si potrà predisporre un percorso specifico caso per caso”.

GLI ESEMPI DI VENTIMIGLIA E MESTRE

Sempre a Repubblica, poi, interviene un sacerdote di Mestre, che spiega: “Le parrocchie fanno bene ad aprirsi ai migranti purché non ci si dimentichi dei nostri vicini di casa in povertà”. Il prete, don Gianni Antoniazzi, che plaude alla scelta della diocesi di Ventimiglia di attivarsi per accogliere più migranti è possibile, vede anche “un rischio nell’accoglienza”: “Gli aiuti sono sacrosanti, a patto che chi li riceve non si sieda”.

IL CASO DELL’UNGHERIA

Ben più duri erano invece i commenti di qualche episcopato centro-orientale, come quello ungherese, che con il vescovo ausiliare di Budapest, mons. Janos Szekely, osservava che “dove una frontiera è costruita con una difesa fisica tutto il processo d’immigrazione illegale si ferma. E’ una soluzione forte ma efficace”, diceva riferendosi alla rete costruita per volontà del governo Orban al confine meridionale del paese. E lo stesso cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera e presidente della Conferenza episcopale tedesca, qualche mese fa notava che “non possiamo accogliere tutti”.

“OFFRIRE AI PROFUGHI UNA POSSIBILITA’ DI FUTURO”

Le critiche di Galantino all’Unione europea non finiscono qui, perché il presule chiarisce che “l’accoglienza dei richiedenti asilo deve essere strutturata in tutti i ventotto paesi europei. Non si possono, infatti, salvare le persone e poi non offrirgli una possibilità di futuro. Una seconda azione concreta rimane quella di organizzare corridoi umanitari” e una terza di “offrire un permesso di protezione umanitaria a tutti i migranti ospitati in strutture da oltre un anno e che oggi costituiscono un popolo che si allarga sempre di più”.

Migranti, cosa si agita nella Cei e nelle Chiese del Medio Oriente

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