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Indipendente e pubblica. E, possibilmente, più efficace nella vigilanza. La Banca d’Italia, dicono i grillini, così com’è non va. Va riformata dalla A alla Z, per renderla in grado di prevenire le crisi bancarie e rimetterla in mano allo Stato. L’idea di una rivoluzione a Palazzo Koch serpeggiava tra i grillini già a ottobre, un mese prima del fallimento pilotato di Etruria, CariChieti, Carife e Banca Marche. Ora però c’è una proposta di legge, nero su bianco, a firma Alessio Villarosa, deputato pentastellato, presentata alla Camera dallo stesso Villarosa, da Carla Ruocco, membro della commissione finanze e da Alessandro Di Battista.

MODELLO “SVEZIA” PER PALAZZO KOCH

La proposta è ispirata da uno studio della Banca centrale svedese datato 2008 nel quale si evidenzia che il 70% delle banche centrali operanti nel mondo sono per il 100% di proprietà pubblica. Mentre solo il 6% delle banche centrali si caratterizza per un assetto proprietario nel quale lo Stato detiene meno del 50%. Per questo, secondo i grillini, quella di Via Nazionale rappresenta “un’anomalia” tutta italiana da correggere al più presto. Ecco come.

FUORI I PRIVATI DA VIA NAZIONALE

Il primo step per cambiare dalle fondamenta la Banca d’Italia riguarda dunque la nazionalizzazione del capitale. Ovvero, delle quote detenute dalle diverse banche, (Unicedit primo azionista) ma anche casse di previdenza, presso Palazzo Koch e che ogni anno fruttano ai soci privati lauti dividendi. I privati nella visione grillina devono sparire: le loro azioni devono andare allo Stato dietro il pagamento di un corrispettivo. “Le quote di Bankitalia in mano alle banche private”, spiega il Movimento in documento illustrativo della proposta di legge, “vengono acquisite dal Tesoro e restano incedibili a soggetti che non siano pubbliche amministrazioni. Ai soci privati è corrisposta, entro un anno, una cifra pari al valore nominale delle quote del 1936, ossia 156.000 euro, più i circa 900 milioni che le banche hanno versato all’erario in seguito alla rivalutazione (secondo il M5S illegittima) delle quote con il decreto 133/2013 (Imu-Bankitalia)“, ovvero la famosa operazione-rivalutazione da 7,5 miliardi delle quote di Bankitalia. In sostanza, alle banche  verrà imposta la cessione delle loro partecipazioni, dietro il pagamento di un corrispettivo, da reperire presso i circa 24 miliardi di riserve in titoli che Bankitalia ha in pancia.

UN ISTITUTO AL SERVIZIO DEL WELFARE

Una volta assicurato il capitale di Via Nazionale in mano pubblica, occorrerà ridisegnarne la mission. La proposta dei Cinque Stelle prevede infatti una cospicua fetta delle riserve da destinare al sostegno del reddito di cittadinanza e del fondo per le piccole e medie imprese. In particolare, il reddito di cittadinanza, tra le battaglie più care al Movimento, dovrà essere finanziato con risorse pari al 4% delle riserve in dote alla Banca d’Italia, più o meno 960 milioni. Un altro 5% invece dovrebbe andare al Fondo di garanzia per le Pmi, istituito presso il ministero dello Sviluppo Economico.

LA GOVERNANCE A CINQUE STELLE

Tutto qui? No. La riforma grillina infatti intacca altri settori chiave dell’istituto centrale, ovvero la governance. Che nell’ottica pentastellata dovrebbe essere smontata e ricomposta. Il primo passo è il mandato del governatore, che oggi ha un incarico di sei anni rinnovabile. Per i grillini la permanenza a Palazzo Koch dovrebbe essere ridotta a  7 anni non rinnovabili, equiparando così il mandato a quello del Capo dello Stato. Modifiche anche per il Consiglio superiore  orfano dei soci privati, che rimane composto di 13 membri, di cui 12 eletti da un’apposita “Commissione parlamentare vigilanza su Bankitalia, composta da 20 deputati e 20 senatori e uno dalla conferenza Stato-Regioni. Ogni membro dura in carica 5 anni con un solo possibile rinnovo”.  Infine il Direttorio, il cui mandato dei membri scende da 6 a 5 anni con un possibile rinnovo e resta nominato dal Consiglio superiore “che non è più frutto delle scelte degli azionisti privati2.

VIGILANZA, MANAGER NEL MIRINO

Un’altro pezzo forte della Banca d’Italia pentastellata è la Vigilanza di Via Nazionale, spesso finita nell’occhio del ciclone dopo il crack delle quattro banche. Vigilanza che peraltro il governo vorrebbe riformare, attribuendole maggiori poteri. A detta dei grillini tuttavia è necessario intervenire urgentemente su alcune questioni. Per esempio sui manager delle banche private, che “non possono più sottoscrivere strumenti finanziari, prestiti o fidi personali che provengono dalle banche da loro amministrate: una misura che ha l’obiettivo di rendere più agevole ed efficace la vigilanza. C’è poi la possibilità di istituire, per gli amministratori delle banche private, “una cauzione speciale, pari al 25% degli emolumenti degli stessi, che l’istituto centrale detiene e ha facoltà di trattenere per il triennio successivo alla fine del mandato del manager in quel dato istituto. Il lasso di tempo consente di verificare se la gestione del dirigente ha generato dissesti finanziari o danni reputazionali all’intermediario”. Dunque, soldi da trattenere in caso di malagestio dell’istituto.

REINTRODURRE GLI SCENARI PROBABILISTICI

Uscendo, ma non troppo, dal tema Bankitalia, la deputata grillina Ruocco ha lanciato una proposta, che tira direttamente in ballo la Consob. Ovvero “il ripristino degli scenari probabilistici all’interno dei prospetti informativi da sottoporre ai clienti, attraverso una modifica del Tuf, il testo unico finanziario”. Una misura chiesta a gran voce anche dai consumatori, visto che si tratta di un tema delicato, ovvero degli strumenti ausiliari che, forse, avrebbero potuto evitare il dramma dei risparmiatori di Etruria&co, che avevano acquistato obbligazioni subordinate che la Consob avrebbe soppresso da qualche anno.

Paola Taverna e Alessandro Di Battista

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