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L’attacco di Dacca colpisce la nostra sensibilità anche per le truci modalità con cui è stato messo in atto. I miliziani erano alla ricerca di occidentali su cui infierire, e quando li hanno avuti tra le mani non hanno esitato a metterli alla prova: o dimostravano di conoscere il Corano, oppure venivano torturati e sgozzati. È la stesso schema “Corano o morte” visto l’anno scorso all’Università kenyota di Garissa, dove a colpire furono i qaedisti di al-Shabaab: gli studenti musulmani furono risparmiati, a quelli cristiani fu riservata una sorte atroce.

L’attacco di Dacca rivela molte cose sulla strategia e il modus operandi dei jihadisti. Scelgono di colpire non obiettivi sorvegliati ma i cosiddetti “soft target”, luoghi assai frequentati ma scarsamente vigilati dove possono mettere a segno indisturbati i loro piani. Colpiscono in più località in una sequenza continua, per dare l’impressione di essere ovunque e di essere onnipotenti. Dimostrano perciò di essere più pericolosi che mai, anche se le loro roccaforti in Siria ed Iraq sono ormai insidiate dai loro nemici. Anzi, più il potere statuale del califfato sarà eroso dall’avanzata delle forze della coalizione anti-IS, più lo Stato Islamico metterà a segno colpi all’esterno di quel perimetro. Lo farà per scoraggiare governi e opinione pubblica, nel tentativo di farli desistere dalla volontà di ostacolare il progetto eversivo jihadista. Un progetto che, come ha dimostrato l’attentato di venerdì e numerosi altri colpi messi a segno in precedenza, coinvolge ormai più Paesi e migliaia di chilometri di superficie terrestre.

Da quando è stato proclamato, il 29 giugno di due anni fa, il califfato ha creato le sue province in realtà come l’Egitto, la Libia, l’Arabia Saudita, il Caucaso, lo Yemen, l’Afghanistan, la Nigeria. Tutti territori dove operavano preesistenti formazioni jihadiste che ora, avendo giurato fedeltà al califfo al Baghdadi, sono tutte partecipi di un’offensiva senza confini che vede protagoniste, non dimentichiamolo, anche le cellule e i lupi solitari presenti in Occidente. A essere colpito stavolta è stato il Bangladesh, paese dominato da un islam moderato che è sempre più insidiato da gruppi estremisti e infiltrato dai miliziani dell’IS.

L’attacco di Dacca conferma quindi che la minaccia jihadista è globale e non risparmierà nessuno, inclusi noi occidentali. Lo dimostra bene il comunicato di rivendicazione del cosiddetto Esercito dei Figli del Califfato, che recita: «O Crociati, voi, le vostre famiglie e i vostri amici, tutti siete bersagli». Lo dimostra anche il comunicato fatto diffondere da un’altra agenzia dell’IS, che ha promesso nuovi attacchi per la festa dell’indipendenza degli Stati Uniti, il 4 luglio e negli aeroporti di Londra, Los Angeles e New York. La conclusione che ne dobbiamo trarre è assai semplice: il mostro jihadista è destinato a vivere ancora a lungo e a seminare caos e morte ovunque giungano i suoi tentacoli.

Dacca, come si propaga l'offensiva infinita dello jihadismo

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