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Il 13 marzo 2024 la Camera bassa del Parlamento americano ha approvato il Protecting Americans from Foreign Adversary Controlled Applications Act,  una legge diretta a —si legge nella scheda del provvedimento— “proteggere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti dalla minaccia rappresentata da applicazioni controllate da avversari stranieri, come TikTok e qualsiasi applicazione o servizio successivo e qualsiasi altra applicazione o servizio sviluppati o forniti da ByteDance Ltd. o da un’entità sotto il controllo di ByteDance Ltd”. Se approvata definitivamente nella forma attuale, questa legge potrà bloccare l’uso della piattaforma di social network, a meno che non sia garantita la tutela della sicurezza nazionale Usa.

Il provvedimento, che è stato inviato al Senato per l’approvazione definitiva, si inquadra nella strategia globale statunitense volta ad contrastare la presenza, nel mercato interno, di tecnologie, software e servizi online anche indirettamente controllati o controllabili da un “foreign adversary” — leggi “Cina” —  un termine che nella sottigliezza del linguaggio politico non indica (formalmente) un nemico in senso bellico ma di certo descrive un “non-amico”.

Fino ad ora, gli interventi di contenimento degli Usa si erano essenzialmente concentrati sul blocco dell’utilizzo di tecnologie cinesi e sul divieto di fornire alla Cina software e macchinari (come quelli per la produzione di chip di ultima generazione) che le avrebbero consentito di competere alla pari, non solo in ambito militare, con i Paesi occidentali.

La partita strategica è sulla manipolazione del consenso

Il fatto (relativamente) nuovo “consacrato” dalla legge anti TikTok è il riconoscimento del pericolo rappresentato da piattaforme che interagiscono direttamente e autonomamente con la popolazione e che dunque sono in grado di manipolare sia le coscienze individuali, sia il dibattito pubblico nel suo complesso. La futura legge, infatti, ha per oggetto tutto ciò che è in grado di generare, condividere e visualizzare immagini, video, comunicazioni in tempo reale o contenuti analoghi, nonché i modi —cioè l’accumulazione di dati sugli utenti e la loro profilazione— per selezionare “cosa” far vedere a “chi”.

Da un punto di vista della sicurezza nazionale, non ha molta importanza se TikTok sia o possa essere effettivamente coinvolta in operazioni del genere per conto di attori stranieri (uno studio dell’università di Toronto, per esempio, non ha trovato evidenze di un fatto del genere), ma come ha insegnato lo scandalo Cambridge Analytica, non c’è bisogno di attendere l’intervento di entità ostili straniere per rischiare un abuso politicamente orientato degli user-generated data.

L’effetto manipolativo combinato di profilazione social e AI

Non è difficile, infatti, associare le preoccupazioni del Parlamento e dell’esecutivo Usa per la pervasività della piattaforma social a quelle suscitate dalla possibilità di realizzare deep-fake di vario tipo tramite applicazioni di intelligenza artificiale.

Un conto, infatti, è la produzione su base individuale di contenuti falsi o falsificati e che, dunque, possono avere effetti limitati pur se in grado di generare un picco di viralità. Un altro conto, invece, è la creazione sistematica di contenuti individualizzati (a livello di cluster o addirittura di singoli) basati sulla profilazione resa possibile dall’accumulo di dati sugli utenti. In altri termini, i singoli contenuti possono essere potenzialmente pericolosi, ma è l’accumulo sistematico di dati di qualsiasi tipo sugli individui per manipolarli indirettamente o forzarne direttamente il comportamento ed essere il bastione da difendere ad ogni costo.

Il ruolo strategico dell’attacco ai valori sociali

Nell’ambito di una strategia offensiva pre-belligerante, infatti, anche gli strumenti per indebolire lo spirito di un Paese sono di importanza fondamentale. Non è un caso che ben prima degli Usa la Cina abbia iniziato una campagna per bandire le influenze culturali straniere per evitare la corruzione dell’etica socialista e che, in materia di intelligenza artificiale, abbia emanato provvedimenti del tutto simmetrici a quelli statunitensi proprio per prevenire la disinformazione resa possibile dall’utilizzo di questa tecnologia.

Non sorprenderebbe più di tanto, quindi, che i valori sociali che uniscono l’Occidente possano essere un bersaglio nell’ambito di una strategia di guerriglia totale teorizzata già nel 1957 dallo stratega svizzero Hans von Dach in Der totale Widerstand: Kleinkriegsanleitung für Jedermann, evoluta nell’analisi di due alti ufficiali dell’aviazione militare cinese nota in occidente come unrestricted warfare e ulteriormente sviluppata in Russia nell’approccio che alcuni studiosi occidentali hanno definito “Dottrina Gerasimov”.

Dunque, suscita poca sorpresa che (non solo) gli Stati Uniti vogliano impedire anche la minima probabilità che ciò accada, anche solo in via potenziale, specie considerando che la frammentazione e l’isolamento sociali indotta dalle strategie di polarizzazione dei social network hanno abituato gli utenti — trasformati in cani di Pavlov — a reagire irrazionalmente a qualsiasi stimolo, senza necessità di svolgere ragionamenti complessi o di esercitare spirito critico.

Il ruolo degli utenti nella decisione finale

Un fattore che, tuttavia, potrebbe seriamente condizionare una strategia diretta a bloccare la disponibilità di servizi di piattaforma e relativi software è la reazione degli utenti.

Fino a quando si tratta di bandire tecnologie di punta o prodotti facilmente sostituibili sul mercato, è altamente improbabile che si possano generare movimenti di piazza o aggregazioni online per chiedere di poter continuare ad utilizzare un certo smartphone o un drone. Diverso è il caso, invece, del divieto di utilizzare un servizio che è parte della vita quotidiana di decine di milioni di persone.

Qualche tempo fa, la sola ipotesi che Meta potesse sospendere l’erogazione dei propri servizi nella Ue per via della normativa sul trattamento dei dati personali, peraltro prontamente smentita, suscitò reazioni allarmate fra chi utilizzava il servizio per scopi personali o lavorativi. Si tratta di reazioni analoghe a quelle che in questi giorni si stanno registrando negli Usa dove, come riporta il Washington Post, content creator, attivisti, giovani e piccoli imprenditori hanno criticato l’approvazione (pur non ancora definitiva) del TikTok Ban.

Dunque, se la protesta contro questa normativa dovesse montare, le istituzioni Usa rischierebbero di trovarsi di fronte alla paradossale situazione di dover scegliere fra alienarsi il consenso di una rilevante parte dell’elettorato pur di perseguire l’agenda politica che è stata decisa, oppure dover valutare se non una marcia indietro, almeno un alleggerimento dei contenuti della futura legge, con evidente pregiudizio degli interessi pubblici in gioco.

Man using TikTok on iPhone

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