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Non sarà un algoritmo a salvarci dalla criminalità organizzata, ma una mano la tecnologia digitale e lo studio dei Big Data possono darla eccome. Se ne parlerà martedì 13 settembre a Crotone presso la Camera di Commercio della città ionica.
L’idea che le mafie possano essere combattute anche attraverso le armi dell’informatica non è nuova, anzi ha avuto nel corso degli ultimi anni applicazioni diverse e di crescente successo.

Ma in Calabria, per la precisione a Crotone, un ente che la narrazione politica e giornalistica più andante ha da tempo battezzato come inutile – fino a convincere il governo con la riforma Madia a falcidiarne numero e funzioni – si è messo al centro di un progetto che promette invece di rivelarsi assai utile. Si chiama Insider, è stato finanziato con i fondi del Pon Sicurezza (Programma Operativo Nazionale) 2007 – 2013 e realizzato da Alkemy Tech, gruppo di enabler digitale e da Infocamere la società informatica del sistema camerale. E l’ente che se ne è fatto promotore è la locale Camera di Commercio di Crotone insieme a quella di Vibo Valentia, entrambi gli enti spariranno per effetto della riforma. Uno dei nove progetti italiani riconosciuto dall’Opsi (osservatorio mondiale Ocse sull’innovazione del settore pubblico), l’unico del sistema camerale.

Prima di spiegare cos’è e come funziona Insider va fatta una promessa. Se è vero, come è vero, che questa è l’era dell’informazione, un tempo dominato dall’enorme capacità di produrre e immagazzinare dati, il problema che si pone per chiunque voglia accedere a questa ricca miniera è quello dell’analisi e della comprensione. In altri termini, disporre di un’enorme quantità di dati non è di per sé un vantaggio; lo diventa, però, se siamo in grado di stabilire tra loro nessi e regolarità statistiche, insomma di farli “parlare”, di estrarli dai recessi inesplorati in cui sono spesso confinati per portarli alla luce.

È ciò che fa Insider, un portale che consente agli utenti autorizzati di “interrogare” le banche dati delle Camere di Commercio e ricavarne un quadro completo di informazioni modellato su una serie di indicatori statistici ed economici, le cui risposte possono essere sintetizzate anche graficamente. Facciamo un esempio: può essere interessante per gli investigatori – per non dire vitale, considerata l’alta densità della presenza ‘ndranghetista non solo in Calabria – sapere qual è il numero di imprese sul territorio che vantano un livello elevato di attivo circolante, la grande disponibilità di liquidità essendo uno dei sintomi più frequenti della patologia criminale. Oppure può risultare utile conoscere a fondo le caratteristiche prevalenti della governance delle imprese localizzate in una certa area: incroci societari, presenza degli stessi soggetti negli organi sociali, età e provenienza degli amministratori. Conoscere fa la differenza: un’elevata percentuale di giovani e donne al vertice di società, specie di società attive in certi settori (vedi l’edilizia), costituisce un’informazione rilevante se nell’ambiente in cui ci si muove l’intestazione fittizia è prassi diffusa.

A testare le capacità di Insider non saranno tuttavia magistratura e forze dell’ordine ma anche gli operatori economici e i centri studi possono avvalersi di questo strumento di prevenzione, analisi economica e intelligence: non a caso il ministero dell’Interno lo ha inserito tra le best practice a livello nazionale ed internazionale.

Il tema della prevenzione (e della repressione) del crimine s’intreccia qui con quello della crescita di un tessuto imprenditoriale sano. A fare da trait d’union dev’essere però lo sviluppo di una cultura della legalità in grado di bonificare le paludi – ancora troppo vaste purtroppo – in cui si mimetizzano i clan ed i loro adepti.

È questo l’aspetto principale su cui si sofferma il rapporto Monitor che verrà presentato il 13 settembre a Crotone nella sede della Camera di Commercio. Si tratta di un ampio dossier sull’economia locale, realizzato in collaborazione Transcrime, centro di ricerca sul crimine internazionale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che utilizzando i dati del Registro delle imprese delle Camere di Commercio, incrociati con altri indicatori, traccia un quadro nitido delle attività delle cosche crotonesi e della loro pervasività. Attività che spaziano praticamente in ogni campo, da quelli tradizionali dell’edilizia e del commercio a quelli, più recenti, aperti dallo sviluppo delle energie rinnovabili. Soprattutto l’eolico è stato per le ‘ndrine locali terra di conquista. Uno dei parchi eolici più grandi d’Europa, quello di Isola Capo Rizzuto, è stato infiltrato da aziende riconducibili alla cosca Arena.

Ma la ‘ndrangheta crotonese non si è limitata in questi anni a presidiare il territorio. Ha anche compiuto una rapida escalation nel Nord Italia e oltreconfine , specie in Germania e Svizzera (la linea della palma di cui parlava Sciascia, come molte altre linee di confine nel mondo globalizzato, si è smaterializzata fino a scomparire). Vale la pena citare il caso dell’inchiesta Aemilia della DDA di Bologna, che ha svelato l’infiltrazione delle cosche di Cutro nella ricostruzione seguita al terremoto del 2012.

È una realtà descritta con precisione da alcuni numeri. Quelli dell’Indicatore Ipm (Indice di presenza mafiosa) elaborato da Transcrime, in cui Crotone compare al sesto posto nella graduatoria delle province italiane. O quelli dell’indicatore Oci-T di Crime&Tech, che combina le statistiche sulle aziende confiscate e sequestrate e con la sequenza dei comuni sciolti per mafia: qui Crotone occupa l’undicesima piazza sulle 110 province italiane.

Il Rapporto Monitor conferma in altri termini quanto sia stretto l’intreccio del fenomeno mafioso con la società, con il mondo economico, con la politica. E come sia radicato il consenso sociale di cui parlano in un loro libro di qualche anno fa Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino, due magistrati che in Calabria hanno lasciato il segno: “Avere a disposizione l’impresa – il lavoro, come dicono gli ‘ndranghetisti – significa avere la possibilità di rendere favori, di amministrare l’occupazione, di dirimere problemi e di acquisire il ruolo di mediazione necessario a creare consenso”.

Se dunque il problema di fondo è “il consenso sociale”, è nella società che bisogna agire. Creando consenso, proprio come fa la ‘ndrangheta, ma un consenso centrato ovviamente su valori e principi di segno opposto. Vanno in questo senso le iniziative che si sono moltiplicare un po’ in tutto il nostro Sud e che raggruppano associazioni, sindacati, movimenti e che vedono spesso in prima fila la Chiesa, come il progetto Policoro e proprio in Calabria nella Locride il Gruppo cooperativo Goel. Iniziative volte a valorizzare i beni culturali e i prodotti del territorio con l’obiettivo di coniugare legalità e sviluppo. In questa direzione va anche la partnership tra Next, l’associazione guidata dall’economista Leonardo Becchetti e la Fim Cisl che hanno promosso un grande evento sul consumo responsabile ad Aversa il Primo Maggio di quest’anno, premiando le imprese virtuose. Altre esperienze significative sono nate in Campania come il Consorzio NCO di Peppe Pagano, che in questi anni ha utilizzato a fini sociali ed economici i beni confiscati alla camorra e le cooperative nate nel Rione Sanità con don Antonio Loffredo che nella valorizzazione dei beni culturali “sommersi” hanno creato un microsistema economico e lavoro. In Calabria, ma il discorso vale per tutto il Sud (e non solo), legalità fa rima con solidarietà.

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