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Il confronto sull’imminente referendum ha ormai esplorato tutte le istanze polemiche, così come anche quelle che tentano di agganciarsi a elementi ‘tecnici’. È quindi venuto il momento – proprio perché siamo alla vigilia del voto – di ‘guardare avanti’, di cominciare a contribuire indicando prospettive, come ha già cominciato a fare Romano Prodi, per esempio. E in questa direzione l’ipotesi più attraente a mio parere è quella di superare le contrapposizioni ideologiche che hanno indebolito il dialogo sulla politica energetica in Italia: il perché è che queste contrapposizioni non sono vere, cioè il mondo non è diviso fra ecologisti e inquinatori.

Userò per dimostrarlo il mio caso personale, che credo paradigmatico: sono stato iscritto d’imperio nella lista degli amici dei petrolieri, ma in un recente passato, quando ho ricoperto il ruolo di vicepresidente della Provincia di Ravenna, ho seguito con la delega alle politiche comunitarie il progetto europeo Powered, di cui l’ente a cui appartenevo era uno dei partner. Il Progetto Powered si è occupato di mappare la forza del vento in tutto l’Adriatico, dalla Puglia al Veneto e dall’Albania alla Croazia, per capire dove è possibile costruire campi eolici offshore.

Il comitato scientifico del progetto era composto da ‘studiosi del vento’, se mi è concesso il termine: sono stati ottenuti risultati scientifici di grandissima rilevanza, al punto che il Governo potrà utilizzare questo strumento per molti anni a venire per decidere a chi concedere l’autorizzazione per la realizzazione di una centrale eolica in mare aperto.

Questo passaggio non è in contraddizione con il sostenere che non si può smantellare da un giorno all’alto il settore dell’estrazione di gas offshore, anzi. Al mondo ‘tutto si tiene’, basta pensare al fatto che la Norvegia finanzia la ricerca sulle rinnovabili grazie ai proventi della Statoil. Questa, non mi stancherò di ripeterlo, è la strada: costruire un percorso che punti a un mix energetico fra rinnovabili e fossili ‘a basso impatto’ (come il gas), finché non saremo in grado di fare funzionare il nostro mondo solo con l’eolico o il solare. E chi lo sa se ci riusciremo. Lo sfruttamento dei giacimenti ancora produttivi di gas deve servire per produrre ricchezza da utilizzare per sostenere al ricerca degli scienziati, come quelli che hanno lavorato al progetto Powered, in grado di produrre innovazione e tecnologie sempre più ‘cutting edge’.

Il nostro futuro è in ciò che sapremo progettare partendo da ciò che sappiamo già fare, usando le nostre risorse per finanziare la ricerca. Per questo non andrò a votare, perché gli argomenti mossi in questi mesi sono ingannevoli e strumento per altri fini. Non andrò a votare perché sto dalla parte del lavoro made in Italy. E ci starò anche dopo il 17 aprile cercando di difendere la cultura e la reputazione industriale made in Italy.

Perché non andrò a votare al referendum sulle trivelle

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