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Dopo la tempesta della scorso autunno, torna in bilico la governance di Unicredit. E, in particolare, torna a traballare la poltrona dell’amministratore delegato Federico Ghizzoni. Mentre si profila, secondo la ricostruzione di Formiche.net, una differenza di vedute tra i soci: con le fondazioni perplesse su ammontare e tempistica dell’aumento di capitale e i fondi più propensi ad accelerare sia su dismissioni che sulla ricapitalizzazione. Ecco tutte novità, schieramenti, ricostruzioni e indiscrezioni.

COSA SUCCEDE NELLA SECONDA BANCA ITALIANA

La nuova crisi ai vertici della seconda banca italiana per capitalizzazione (al primo posto c’è Intesa Sanpaolo) è diventata evidente sui giornali del 17 maggio. La stampa italiana riferiva di un incontro che si era tenuto il giorno prima, nella sede di Unicredit in piazza Gae Aulenti a Milano, proprio nell’ufficio dell’ad Ghizzoni. Secondo Marco Ferrando del Sole 24 ore, “al tavolo, tra gli altri c’erano i vice presidenti Vincenzo Calandra, Luca Cordero di Montezemolo (al telefono) e Fabrizio Palenzona, il consigliere eletto nella lista di minoranza Lucrezia Reichlin, l’ex presidente di Fondazione Cariverona, Paolo Biasi, il segretario generale di Fondazione Cr Torino, Massimo Lapucci e l’ad di Carimonte, Domenico Trombone, più alcuni tra i principali soci privati, come Francesco Gaetano Caltagirone”.

LA POSIZIONE DELL’AD 

Al centro della questione la governance e, in particolare, il mandato di amministratore delegato in mano a Ghizzoni. Da ricordare che quest’ultimo è colui che alla fine dell’estate del 2010, in uno dei momenti più tribolati della banca milanese, aveva ricevuto il testimone di Alessandro Profumo, uscito sbattendo la porta e in dissidio coi soci italiani per l’operazione libica (si diceva fosse stato l’artefice dell’ingresso del fondo sovrano e della banca centrale di Tripoli). Scrive il Sole 24 ore: “Ghizzoni potrebbe essere oggetto di un possibile ricambio, attraverso un processo di selezione da condursi nei prossimi mesi. Per questo, la riunione si sarebbe conclusa con un mandato esplorativo affidato al presidente Giuseppe Vita: improbabile che si approdi a una soluzione in tempi brevi, ma i soci avrebbero individuato come orizzonte entro il quale trovare una quadra l’estate, con l’approvazione dei conti semestrali”. Il problema, però, è che sarebbe traballante non soltanto l’ad Ghizzoni ma anche lo stesso presidente Vita, che dunque potrebbe avere non poche difficoltà a eseguire il mandato che gli è appena stato affidato.

LE RAGIONI DELLE TENSIONI

Le ragioni delle tensioni ai vertici dell’istituto di credito sono spiegate da Fabrizio Massaro sul Corriere della Sera: “Da un lato il calo del titolo, che ha perso il 48% in sei mesi facendo peggio di Intesa Sanpaolo (-30%) e dell’indice di Piazza Affari (-19%); dall’altro i timori per un livello di capitale (10,85%) considerato basso; quindi gli strascichi dell’operazione Popolare di Vicenza, per il fatto che non sarebbe stato portato in consiglio il contratto di pre-garanzia sull’aumento di capitale poi saltato e coperto rapidamente dal fondo Atlante, nonostante Ghizzoni abbia detto che sul tema, dopo l’informativa data al board, c’è solo da “voltare pagina”; tutti questi elementi avrebbero fatto maturare presso alcuni soci e consiglieri l’opportunità di rivedere la governance, per rendere la banca più salda e puntata alla crescita”.
Dunque alcuni soci e consiglieri di Unicredit starebbero chiedendo la testa di Ghizzoni, l’amministratore delegato che era sembrato in bilico già lo scorso autunno sull’onda delle tensioni sulla banca legate al caso, poi rientrato, del vicepresidente Fabrizio Palenzona. E Palenzona, in sintonia con Francesco Gaetano Caltagirone e da sempre vicino alla Fondazione Crt azionista di Unicredit, oggi, paradossalmente, potrebbe essere proprio colui che spinge per un ricambio ai vertici della banca di Piazza Gae Aulenti trovando una sponda pure in Paolo Biasi, uomo forte di Cariverona con cui i rapporti sono stati sempre idilliaci.

L’INCOGNITA AUMENTO DI CAPITALE

Un punto critico su cui gli analisti insistono da tempo è l’aumento di capitale. Sulla questione è tornato di recente il Financial Times, che citava, rigorosamente in forma anonima, il pensiero di uno dei primi dieci azionisti, secondo cui Unicredit “ha bisogno di un aumento di capitale ma non può farlo con i manager attuali perché hanno perso la fiducia dei mercati”. Quindi, serve un nuovo ad che, appena arrivato, annunci un bell’aumento di capitale (per inciso, nuovamente smentito da Ghizzoni nella recente conference call sui conti trimestrali). Una responsabilità di certo non facile. Intanto, gli analisti ritengono che per mettere in sicurezza i conti della banca siano necessari tra i 5 e i 7 miliardi. Secondo Equita Sim, per esempio, l’istituto di piazza Gae Aulenti avrebbe bisogno di una iniezione di capitale da 5 miliardi, che diventerebbe molto più probabile proprio in caso di sostituzione dell’ad. Per gli esperti di Banca Akros, tuttavia, un cambio all’interno del consiglio di amministrazione della banca “potrebbe rilanciare la strategia del gruppo, ma un aumento di capitale agli attuali prezzi di mercato potrebbe essere altamente diluitivo per gli azionisti”.
Akros, in effetti, solleva una questione di non poco conto: le Fondazioni socie di Unicredit, tra cui la torinese Crt e Cariverona, sono d’accordo con l’aumento e, soprattutto, hanno le risorse per seguirlo? La risposta sembra proprio essere negativa. Diversa invece la posizione dei grandi fondi soci della banca, in consiglio di amministrazione rappresentati da Lucrezia Reichlin, in genere schierati “pro mercato” e dunque verosimilmente favorevoli a una ricapitalizzazione, visto che è necessaria, ed eventualmente disposti persino ad aderirvi.

L’ALTERNATIVA DELLE CESSIONI

Ma proprio per le troppe incognite legate all’aumento (riuscirà nell’operazione un ad appena insediatosi? E chi ci metterà i soldi se le Fondazioni non sono in grado di farlo o sono perplesse?), negli ultimissimi giorni l’attenzione si è spostata sulle operazioni alternative che potrebbero comunque consentire alla banca di rafforzare il capitale ma senza battere cassa tra gli azionisti. Secondo quanto riferito dall’agenzia Bloomberg, in quest’ottica Unicredit starebbe valutando la cessione del 15% di Fineco (valore 600 milioni) e delle partecipazioni nella banca turca Yapi Kredi e nella polacca Pekao. C’è, tuttavia, da sottolineare che l’urgenza di vendere che Unicredit sembra avere per scongiurare l’aumento rischia di abbassare il prezzo di vendita di queste attività, secondo alcuni osservatori di mercato.

IL TOTO NOMINE

Come in ogni caso di indiscrezioni su un amministratore delegato in uscita che si rispetti, anche per Unicredit è già partito il toto-nomine sul successore di Ghizzoni. Tra i soci – secondo il Sole 24 ore – c’è chi vedrebbe bene un manager estero (il nome più ricorrente ora è quello di Jean-Pier Moustier, già a capo del Cib di UniCredit), ma anche chi preferirebbe un’opzione italiana: in questo caso, circolano le ipotesi di Marco Morelli, vicepresidente per l’area Emea di Bofa-Merrill Lynch, del ceo di UnipolSai (e amico da 15 anni del renzianissimo Marco Carrai, ha sottolineato ieri il quotidiano la Repubblica),del ceo di UnipolSai, Carlo Cimbri, gradito a molte fondazioni, e del presidente di Banca Imi, Gaetano Miccichè. Circola, inoltre, il nome del banchiere di Ubs Andrea Orcel, da sempre chiodo fisso di Biasi, ex presidente di Cariverona ma ancora vicino alla Fondazione, che già lo aveva fortemente sponsorizzato nel 2010, ai tempi dell’uscita di Profumo.

I PROSSIMI PASSI

Nel frattempo, un consiglio di amministrazione straordinario di Unicredit potrebbe essere convocato già martedì 24 maggio per conferire a un cacciatore di teste l’incarico di individuare un nuovo successore di Ghizzoni (che starebbe già trattando i dettagli economici della sua uscita). Una cosa però è certa: più in fretta si risolveranno le questioni di governance di Unicredit, meglio sarà per il sistema bancario italiano, già messo a dura prova dalle diverse crisi in corso e da un contesto difficilissimo. Non stupisce, in questo quadro, che il governo di Matteo Renzi stia seguendo la vicenda con grande attenzione e, probabilmente, anche da vicino.

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Di Federico Fornaro e Fernando Pineda

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