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Il dibattito sulla presunta “islamizzazione” dell’Europa continua ad allargarsi. Lo scorso ottobre in Vaticano, durante il Sinodo dei vescovi, il cardinale Peter Turkson sollevò l’argomento presentando un video che raccontava l’andamento della composizione demografica del Vecchio continente. Alcuni dati snocciolati nel filmato sostenevano che la Francia potrebbe diventare una “repubblica islamica nei prossimi 39 anni” e che in città come Nizza o Marsiglia il 45% dei cittadini sotto i 30 anni è di fede musulmana.

Per quanto riguarda il Regno Unito, invece, il video indicava che, negli ultimi 30 anni, la popolazione islamica britannica è cresciuta da 82mila a 2,5 milioni di persone. Nel 2015 risultavano registrate 1000 moschee, molte adibite in vecchie chiese. Per l’Olanda i pronostici furono ancora maggiori: “Il 50% dei neonati sono musulmani e tra 15 anni la metà della popolazione olandese sarà musulmana”.

Il fenomeno, dunque, non riguarda soltanto il sud del continente, dove gli immigrati arrivano con più facilità, ma anche le principali città dell’Europa del nord. Eccone alcune:

BURY PARK, LONDRA (REGNO UNITO)

L’ultimo censimento registra circa un milione di musulmani a Londra. Molti di loro vivono in comunità che contano su scuole dedicate, regolamenti, leader e tempi di vita aderenti alla propria religione. Una buona parte è unita sotto la guida dell’Islamic Forum of Europe (IFE). Fondata da Jamaat-e-Islami Chowdhury Mueen-Uddin – condannato a morte a novembre del 2013 dal Tribunale per i Crimini di guerra del Bangladesh, questa organizzazione estremista vorrebbe imporre un Califfato in Europa (qui l’articolo di Formiche su cosa unisce e cosa divide gli estremisti islamici).

Nell’est di Londra, ad esempio, opera il Consiglio della sharia di Leyton, riconosciuto dal governo britannico nel 1982. Questa istituzione si confronta con circa 50 casi al mese, quasi tutti su dispute matrimoniali. Nove su 10 sono presentate da donne che, secondo la legge islamica, possono divorziare solo attraverso questo consiglio. Alla Madani Islamic School di Myrdle Street, dietro la Moschea East London, le bambine dagli 11 anni in su sono costrette a usare il “niqab”, l’abbigliamento islamico che lascia scoperti soltanto gli occhi.

Ma il quartiere più islamico a Londra è Bury Park (Luton), a 40 chilometri a nord della città. Conosciuto come “Londonistan”, ha circa 250mila abitanti, di cui gran parte bengalesi, pachistani e afroamericani convertiti all’Islam. Secondo IBTimes, una settimana dopo gli attentati di Parigi, a Bury Park sono aumentati del 300% i crimini contro i musulmani.

NØRREBRO, COPENHAGUE (DANIMARCA)

Il Danmarks Statistik, l’istituto nazionale danese di statistiche, sostiene che l’indice di delitti compiuti da immigrati non occidentali (quasi tutti musulmani) è del 130% più alto rispetto alla media nazionale del Paese. La maggioranza dei reati sono commessi da palestinesi, seguiti da somali, turchi, marocchini e pachistani. Nel 2008, è stato deciso di inserire imam nelle carceri danesi, perché il 20% dei reclusi sono musulmani. Quasi la metà degli immigrati islamici in Danimarca sono senza lavoro, nonostante l’indice di disoccupazione nel Paese sia del 5%.

Un articolo di Metroxpress racconta la manifestazione delle organizzazioni musulmane di Nørrebro, quartiere multietnico di Copenaghen, a favore dell’imposizione della sharia: “La bandiera nera islamica sventola nella manifestazione di questi immigrati. È una bandiera di guerra, il suo significato è che i musulmani devono combattere fino a quando la sharia non sarà legge… Donne e uomini camminano separatamente… Un uomo urla da un megafono: ‘chi decide?’; ‘Allah’, rispondono i manifestanti”.

A Nørrebro è presente Hizb ut-Tahrir, un partito fondamentalista islamico, vietato in Germania e Svezia, ma legale per il momento in Danimarca. Da quanto si legge sul Guardian, a Nørrebro viveva Omar Abdel Hamid El-Hussein, danese, 22 anni, origini musulmane. Ha fatto fuoco contro il centro culturale di Copenaghen mentre era in corso un dibattito sulla strage di Charlie Hebdo. Ha detto di essersi ispirato allo Stato Islamico, in guerra contro l’Occidente.

ROSENGÅRD, MALMÖ (SVEZIA)

A Malmö vivono circa 300mila abitanti, di cui circa la metà sono stranieri, molti immigrati da Iraq, Kosovo e Somalia. Uno studio dell’avvocatessa Ann Christine Hjelm sostiene che circa l’85% dei condannati per stupro nella città siano immigrati. Mälmo a prima vista sembrerebbe un luogo come tanti, con addosso i segni della rivoluzione industriale europea, con le antiche fabbriche trasformate in centri culturali. La città accoglieva un’importante comunità ebraica, oggi quasi scomparsa a causa delle tensioni con i residenti musulmani. Mälmo è conosciuta come una delle prime città svedesi ad adottare una politica ufficiale di multiculturalismo durante un’amministrazione municipale social-democratica.

Ma già dal 2008 il quartiere Rosengård della città svedese era motivo di preoccupazione per le autorità locali. Una manifestazione alle porte della moschea principale terminò con il lancio di bombe molotov ed esplosivi fatti in casa.

Un’agente della polizia ha detto al quotidiano svedese Folkets Nyheter che a Rosengård anche i controlli quotidiani diventano un caso politico: “Quando cerchiamo di controllare la patente a un immigrato si diffonde la voce e arrivano tutti insieme e bisogna chiamare i rinforzi. Lavorare a Rosengård è molto faticoso”. A Rosengård abitava Jalid al-Yousef, musulmano con cittadinanza svedese, 43 anni, accusato di finanziare organizzazioni terroristiche tra cui Hamas e le Brigate dei Martiri di al-Aqsa e di incitare giovani aspiranti kamikaze.

SCHILDERSWIJK – L’AIA (OLANDA)

Schilderswijk, nella periferia dell’Aia, è conosciuto come “il triangolo dimenticato”. All’inizio il riferimento era a un progetto urbanistico nel quale la zona non era stata inclusa. Oggi, invece, a “dimenticarlo” sono le autorità locali, incapaci di controllare la ghettizzazione islamica. Le manifestazioni nel quartiere sono state vietate per problemi di ordine pubblico.

Un’inchiesta pubblicata dal quotidiano cattolico Trouw – e ripresa da Irish Times – sostiene che negli anni a Schilderswijk sia nato un piccolo “califfato” e via siano state applicate molte regole islamiche. I non musulmani vengono rimproverati per strade quando fumano, bevono o mangiano maiale. Geert Wilders, leader del Partito della Libertà, ha denunciato più volte l’applicazione della sharia a Schilderswijk e ha organizzato proteste anti islamiche che hanno trovato risalto sul piano internazionale.

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