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Mentre si susseguono ora dopo ora e minuto dopo minuto le notizie da Bruxelles, a trentasei ore dall’attacco terroristico è cominciata l’analisi e la valutazione della situazione complessiva. Il Belgio si è mostrato vulnerabile. Il governo europeo quasi colpito. L’intelligence nazionale ha svelato le sue falle. Il coordinamento internazionale impreparato. L’Europa scossa, ferita, affranta e smarrita.

Certamente, in questi giorni è il momento della gestione affannosa dello stato di eccezione. Si procede ovunque, iniziando dalla città teatro del massacro, a fare controlli ad ampio raggio, senza un coordinamento sistematico delle operazioni, ancora ovviamente impossibile. Proprio adesso che sembra troppo presto, tuttavia, è il momento giusto di guardare al futuro. E bisogna farlo in tutta Europa, non solo nel segno legittimo della speranza, ma nell’ottica operativa di capire cosa si può realmente mettere in atto per arginare il pericolo, per prevenire un’ennesima replica, per vincere questa guerra terribile.

Esistono due ambiti in cui sarà indispensabile agire con risolutezza.

Il primo riguarda l’ordine interno dei singoli Stati. Sarebbe auspicabile in tempi rapidi che i servizi nazionali, civili e militari, cooperando a livello europeo e atlantico, cambiassero strategia, adattando la propria capacità conoscitiva a questa inedita necessità eccezionale di prevenzione. Le cellule terroristiche ci sono. Esse si annidano nelle periferie, in luoghi in cui è possibile non essere facilmente individuate, sotto la coltre melmosa dei quartieri socialmente più emarginati.

Ogni Governo dovrebbe operare con incisività, sia mediante infiltrazione diretta e sia con il controllo delle comunicazioni personali, per capire più e meglio di prima cosa accade realmente nelle nostre società. Inoltre è urgente affiancare alle azioni di intelligence una schedatura delle persone. Si tratta di un’operazione delicata ma molto importante di ‘anagrafe del terrorismo’.

È necessario fare un censimento di chi vive dentro il territorio nazionale, in modo da capire e distinguere coloro che non sono un pericolo, da coloro che invece costituiscono un fattore di allerta, rispetto a coloro invece che sono presenze pericolose come potenziali soggetti terminali e attivi dell’Isis. Questa guerra, purtroppo, si potrà vincere soltanto controllando gli abitanti. Non conta qui la distinzione tra cittadini e clandestini, ma quella tra terroristi e non terroristi. Lo strumento in mano a questi criminali è la preparazione tecnica e la dinamicità di movimento. Gli appoggi basistici e logistici sono legati spesso a legami familiari. Uno Stato ha dalla sua di poter controllare le persone. E anche se questo costituisce un limite alla privacy, in questo frangente la libertà, condizione previa per avere democrazia, non è una massima priorità perché è la vita stessa di chiunque ad essere minacciata, insieme alla sicurezza e all’incolumità di ogni persona civile.

Perciò è importante capire che si deve rinunciare provvisoriamente ad un po’ di libertà per difendere tutta la nostra libertà presente e futura.

Oltre questo primo livello repressivo è essenziale poi che le forze dell’ordine siano sempre più preparate ad affrontare e reagire ad incursioni di terroristi kamikaze. Quindi è assolutamente urgente dare formazione e preparazione adeguata a poliziotti e carabinieri, almeno quanto è indispensabile fornire ai servizi segreti leggi speciali di investigazione. Oltre questo muoversi all’intero, è inoltre impellente una rapida e coordinata azione militare esterna. Gli attentati sono fatti da gente di casa nostra, spesso da cittadini. Ebbene si controllino i cittadini.

Ma chi ha rivendicato come mandante di Parigi e Bruxelles è lo Stato Islamico. L’Europa dove intervenire dunque militarmente conto l’Isis, cominciando dal nord Africa. Se non vi sarà una repentina operazione militare in Libia, non sarà possibile avere le credenziali per rivendicare un’azione incisiva in Siria e in Iraq. E quanto più l’Europa sarà debole, tanto maggiore la forza di Putin spingerà l’Isis verso occidente ed Europa.

È il momento del cordoglio. Sicuramente. Poi però deve esservi quello dell’azione dura e risoluta, all’interno di ogni Stato e all’esterno dell’Europa.

Basta meeting. Basta discussioni inutili. Basta soprattutto subordinare la politica agli interessi economici e petroliferi del Medioriente.

I cittadini vecchi e nuovi, e anche coloro che sono perbene ed ambiscono ad esserlo, esigono di cancellare subito il rischio terroristico e vincere bene questa guerra.

Per farlo, iniziando proprio dal sud del Mediterraneo, sarà indispensabile non solo l’incursione aerea, ma l’impiego di truppe di terra, ottenendo una liberazione di quei Paesi in cui lo Stato Islamico è più vicino, cominciando appunto dalla Libia. Che il mondo civile ci aiuti, perché noi siamo costretti a difenderci. Ciò comporterà purtroppo anche delle perdite di vite umane. È inutile nasconderlo perché è così. Ma, sebbene questo appaia un ragionamento crudo, in guerra si muore sul campo e non ci si lascia uccidere nelle proprie città, per strada, alla stazione, nel metrò o in aeroporto.

Se siamo in guerra, e purtroppo siamo in guerra, ormai infatti non lo nega piu nessuno, allora dobbiamo purtroppo ragionare di guerra. Altrimenti si finirà per soccombere in pace.

Che cosa lega Bruxelles, Isis e la Libia

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