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Una delle cose più sorprendenti e che fa riflettere è l’inizio stesso del testo del decreto, che stravolge completamente i miei (inutili ormai) convincimenti universitari: “ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di avviare il processo di riforma del settore bancario cooperativo…”.

La riforma del credito cooperativo è stata messa sullo stesso piano di una calamità naturale, di un terremoto. Ci manca solo la nomina di un “zamberletti” di turno. Ma il terremoto è altrove e lo sappiamo benissimo…

La frittata è fatta. La riforma delle BCC è riuscita a scontentare tutti. Si voleva gettare scompiglio tra le operose BCC ed il Governo (ed i suoi suggeritori) ci è riuscito benissimo. In buona sostanza si andrà a commissariare le BCC, allo stesso modo, buone o cattive che siano. La sensazione generale nel Movimento è che nulla sarà come prima, ma anche che nulla sarà meglio di prima.

Il Governo ha trattato con grande superficialità questa materia della riforma delle BCC. Il Governo dovrebbe sapere che le BCC non sono come gli sportelli delle altre grosse banche.

La cosa paradossale è che siamo finiti anche noi nel tritacarne delle tante normative finanziarie, nelle alchimie dei cavilli burocratici-finanziari dei nostri tecnocrati super pagati e super distanti dalla realtà, che non sono mai entrati in una BCC. Pochi giorni fa sul Sole 24 Ore si leggeva: “e un disco verde alla riforma delle bcc è venuto anche da Moody’s”. Che questa agenzia americana dia giudizi sulle BCC è come se il diavolo volesse giudicare l’acqua santa.

Avremmo gradito un disco verde alla riforma da parte delle associazioni di categoria degli artigiani, dei commercianti, delle piccole imprese, dei consumatori, ma non dai guru della finanza.
Non c’è alcuna evidenza economica in grado di dimostrare che occorrono holding per gestire il credito cooperativo. Mentre è facilmente dimostrabile che è più premiante un sistema di IPS (tipo Germania) con fondi di garanzia che abbiano poteri forti sulla governance delle BCC male amministrate.

Bisogna punire gli uomini non le banche. Purtroppo siamo riusciti a fare il contrario!

La colpa di questo decreto non è tutta del Governo. Anche noi del movimento cooperativo abbiamo sbagliato molte cose.

In tutti questi anni non abbiamo capito che è importante anche apparire oltre che essere. Abbiamo fatto cose eccellenti ma non abbiamo saputo comunicarle.
Oggi, pur avendo un movimento forte di ben 1.200.000 soci, ben 7.000.000 di clienti ci siamo fatti bistrattare dal Governo senza che siamo stati capaci di trasmettere la nostra delusione a soci e clienti. I comunicati di Federcasse sono rivolti esclusivamente ai Presidenti delle BCC e alla stampa (che non possediamo). I gruppi bancari nostri concorrenti hanno possibilità mediatiche molto maggiori.

Quelle poche volte che abbiamo investito nella comunicazione lo abbiamo fatto con risultati molto risibili, benchè costosi. Non mandiamo mai qualcuno nei talk show televisivi a raccontare egregiamente le nostre qualità… Oggi, date le nostre dimensioni, dovevamo avere almeno un canale televisivo tematico tutto nostro.

Siamo colpevolmente convinti che la capitale del mondo sia in via Lucrezia Romana e non nelle singole BCC!

Siamo un movimento molto piegato su se stesso. Con amministratori molto autoreferenziali, poco inclini alla turnazione, poco inclini a prendere atto dei propri limiti, poco inclini a capire che non si può andare ad una guerra nuova con uomini vecchi!

Abbiamo bisogno di bravi tecnici nei nostri CdA, abbiamo bisogno di competenze per competere, abbiamo bisogno di valorizzare di più i Direttori delle nostre BCC non fosse altro perché un libro di tecnica bancaria prima o poi l’hanno avuto tra le mani…

Come si spiega che in tutta questa vicenda, Federcasse ha consultato sempre e solo i Presidenti e i Direttori delle Federazioni Regionali e mai i Direttori delle BCC che sono quelli che effettivamente conoscono vita e miracoli della BCC!

In fondo nessuno può essere contento del decreto altrimenti non si parlerebbe di come uscirne.

Se tutta la discussione (interna e sulla stampa) verte sulla possibilità di una “via d’uscita” vuol dire che c’è chi vuole uscire e quindi vuol dire che sotto l’ombrello del gruppo unico non si sta bene. Se non si sta bene, perchè lo Stato ci vuole obbligare a restarci imponendo a chi vuole andar via di pagare una forte penalizzazione?

Se sono le BCC più grosse a voler andare via non è corretto che debbano soccombere quelle più piccole che pure (probabilmente) vorrebbero fuggire ma non hanno i mezzi per farlo.

Non è corretto che se le grosse BCC vanno via restino le più piccole a portare sull’altare della riforma i propri patrimoni per salvare le BCC che ne hanno bisogno. Questo sarebbe uno SCIPPO.

Se la Holding è la soluzione e non il problema, perché tutti sono interessati a conoscere la via di fuga? Allora vuol dire che la bontà della Holding non esiste. Allora questo decreto è un imbroglio?

Insomma, o tutti dentro o tutti in fuga. Lo Stato non può discriminare, nemmeno facendo cassa, anzi peggio.

La soluzione migliore, a nostro modesto avviso, a questo punto, è quella di abbassare la soglia di capitale del Gruppo da un miliardo a molto meno. Si darebbe così la possibilità di costituire più gruppi (2 max 3, senza nemmeno eccessive penalizzazioni geografiche). Si andrebbe a ricostruire una salutare pluralità che è pur sempre l’anticamera della democrazia. Così facendo nessuno più avrà motivo di andar via perché ognuno potrà stare nel gruppo che le è più congeniale. Finirebbero automaticamente tutte le polemiche seguite al decreto per la cosidetta way out.

Mentre gli Stati Uniti hanno capito che il sistema bancario non può incentrarsi unicamente sulle grandi banche, tutt’altro che esenti da rischi, ma va valorizzato e difeso il sistema delle piccole banche, “l’Europa sembra muoversi in direzione opposta e con la sua cervellotica regolamentazione bancaria sembra un treno impazzito che, forse inconsapevolmente, va verso la distruzione delle piccole banche”.

Le cronache recenti ci dicono che da Lehman Brothers alla Deutsche Bank un sistema bancario fatto solo di giganti è più di un azzardo.

Se vogliamo bene all’Italia dobbiamo produrre la migliore delle riforme possibili che è anche quella meno costosa: la riforma del merito. E sotto questo aspetto, la nostra riforma delle BCC lascia molto a desiderare… il merito delle BCC “normali” non viene tutelato adeguatamente nel decreto. Facciamo colpevolmente di tutte le erbe un fascio, trattiamo allo stesso modo chi “dona” patrimonio e chi colpevolmente ne ha necessità. Chi ha disamministrato e chi ha amministrato. Chi ha fatto credito allegro e chi è stato prudente!

Insomma, se holding ci deve essere abbia potere di direzione e controllo solo sulle BCC male amministrate altrimenti sarebbe un commissariamento e quindi la distruzione della cooperazione intesa come giusto connubio tra autonomia e responsabilità (Don Sturzo).

Per concludere riportiamo l’estratto dell’intervento di Carmelo Barbagallo tenuto il 15 ottobre 2015 di fronte alle Commissioni riunite di Camera e Senato (pag.8):
“un aspetto di centrale importanza della riforma è il requisito minimo di capitale della capogruppo…. il livello minimo di capitale – che, come detto, non dovrebbe essere tanto elevato da inibire la possibilità, ove espressa dal mercato di costituire più gruppi – può essere fissato direttamente dalla legge”.

Questa lettera-manifesto è firmata da:

Antonio Marino – Direttore Generale BCC di Aquara
Michele Albanese – Direttore Generale BCC Monte Pruno di Roscigno
Angelo De Luca – Direttore Generale BCC di Buonabitacolo
Giampiero Colacito – Direttore Generale BCC di Civitanova Marche
Emanuele Di Palma – Direttore Generale BCC S. Marzano di Taranto
Lino Siciliano – Direttore Generale BCC Mazzarino
Massimo Nelti – Direttore Generale BCC Marcon Venezia
Fabrizio Marinelli – Risk Manager BCC di Ripatransone
Venero Rapisarda – Direttore Generale Credito Etneo BCC

iccrea, bcc

Tutti i rischi della riforma delle Bcc

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