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Venerdì in serata è circolata sui social network la notizia che Noureddine Chouchane è morto durante gli scontri di Sabratha, dove i baghdadisti hanno provato ad impossessarsi nei giorni scorsi di parti della città ma sono stati pesantemente respinti dalle forze di sicurezza locali. Ci sono immagini che mostrano il corpo esanime del leader dello Stato islamico in Libia: il fatto è che secondo quanto dichiarato dagli Stati Uniti il tunisino, considerato il pianificatore degli attacchi al Bardo e sulla spiaggia di Sousse dello scorso anno, era il bersaglio principale del raid aereo americano che ha colpito il campo di addestramento di Sabratha il 19 febbraio in cui lui doveva essere tra gli oltre 40 combattenti dell’Is rimasti uccisi (secondo alcune informazioni non verificabili l’assembramento dei baghdadisti era legato al progetto di attaccare Ben Gardane, una cittadina tunisina che si trova appena il confine, a pochi chilometri da Tripoli e Sabratha).

OBIETTIVO MANCATO (?)

Se fossero vere le informazioni sulla morte di Chouchane, significherebbe che l’attacco americano del 19 non ha centrato il bersaglio principale. Circostanza che fa capire come il quadrante libico sia complesso, e come le informazioni di intelligence sono spesso inesatte, nonostante è ormai evidente che ci siano uomini scelti sul posto, impegnati  condurre operazioni più che altro di intelligence per raccogliere dati sufficienti su bersagli. Ma la Libia è un territorio complesso, dove la molecolarizzazione delle fazioni combattenti rende difficile operare. Un problema per un intervento più impegnato spesso tirato in ballo, a cui vanno aggiunte, nel caso, le morti durante il raid di due ostaggi civili serbi detenuti dallo Stato islamico e di cui non era nota la presenza nel compound colpito. Civili più intelligence insufficiente sono un pessimo segnale.

LE PRESSIONI ITALIANE

L’Italia sta facendo pressione sugli alleati perché si eviti di alzare il livello di coinvolgimento militare in Libia prima dell’invito da parte del costituendo governo locale, scrive la Reuters. Il timore di Roma, noto, è che un’azione prima che l’esecutivo di Fajez Serraj riceva una qualche legittimità definitiva possa creare ulteriori squilibri e coagulare diverse fazioni combattenti contro l’Occidente. In quest’ottica la decisione di aprire la base di Sigonella agli UAV armati americani soltanto in caso di necessità difensive. Se il raid americano non ha fatto centro, c’è un argomento in più a favore di Roma.

MA GLI ALTRI SCELGONO

La Francia invece ha scelto: un team misto di forze speciali e operativi dell’intelligence si trovano nella base di Benina, vicino Bengasi, insieme alle truppe di Tobruk comandante dal generale Khalifa Haftar (con loro, in realtà, secondo le informazioni diffuse dai media, ci sarebbero anche reparti di élite americani e inglesi). Dopo lo scoop della giornalista Nathalie Guibert sul Monde, fonti libiche hanno confermato la situazione ad Associated Press e alla Reuters. I francesi sarebbero solo in 15 (un numero basso, nei giorni scorsi si era parlato di un contingente dieci volte più grande) e fornirebbero unicamente “consulenza”, ma se è vero che grazie a loro il governo di Tobruk è riuscito a conquistare larghe porzioni di Bengasi, allora significa che la missione francese non si ferma al ruolo di advisor e probabilmente i commandos inviati segretamente da Parigi stanno anche dirigendo gli attacchi aerei da terra (e forse compiendo blitz contro qualche leader).

ALTRI RAID AEREI ANONIMI?

Venerdì gli osservatori hanno segnato di nuovo il volo di un altro Stratotanker francese, un rifornitore aereo, che usciva dallo spazio aereo libico: questo tipi di velivoli sono gli stessi partiti più volte da una base in Provenza e che avrebbero dato supporto logistico a bombardamenti operati su Sirte e altre aree occupate dalla Stato islamico (sono tracciabili nei siti come Flightradar24 perché tengono acceso il trasponder). Forse in almeno un’occasione sarebbero stati direttamente i caccia francesi ad effettuare gli attacchi.

NOTA TEMPORALE

Nelle indiscrezioni uscite sulla stampa francese, una fonte rivela che il raid aereo americano che ha ucciso il capo dello Stato islamico Abu Nabil è stato portato a termine grazie alla intelligence a terra raccolta dagli operatori francesi. La questione è molto interessante perché il bombardamento ha avuto luogo il 14 novembre, ossia esattamente il giorno dopo l’attentato di Parigi, e dunque significa che le attività francesi in Libia risalgono ad una decisione precedente rispetto allo step up annunciato dall’Eliseo dopo i fatti del 13 novembre, perché non è possibile che le unità francesi abbiano raccolto dati così importanti sul più alto in carica dell’IS nell’arco di una notte. Non è chiaro se gli operatori inviati da Parigi facessero già base insieme ai soldati di Haftar.

I PROBLEMI DELLA LINEA FRANCESE

La dimostrazione di quanto sia rischiosa la posizione francese sta nelle dichiarazioni vittoriose che hanno accompagnato la rottura dei fronti in stallo a Bengasi da parte dell’esercito di Haftar. Da Tobruk dicono che l’operazione lanciata il 20 febbraio e rinominata “Sangue dei martiri” ha avuto la meglio sullo Stato islamico e su altre “milizie islamiste” e questo indispettisce Tripoli, perché tra quelli che Haftar considera “terroristi” ci sono anche fazioni militari filo-tripolitane che si rifanno al Consiglio rivoluzionario di Bengasi.

UNA QUESTIONE POLITICA OLTRE CHE MILITARE

La questione è tutta politica, perché significa che Parigi non riconosce utile il lunghissimo negoziato avviato dalle Nazioni Unite per trovare un accordo su un governo unitario, e appoggia una delle parti in causa. Tutto questo pochi giorni prima del voto sulla nuova lista che il premier Serraj ha compilato per sottoporre all’approvazione del governo di Tobruk (l’unico che può dare un qualche ok politico al processo, perché gode del riconoscimento internazionale). La linea politico-militare francese rischia di essere un ulteriore fattore di destabilizzazione.

 

Forze speciali occidentali in una base di Tobruk: è una questione politica

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