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Non conta proprio un bel nulla se Matteo Renzi è in crisi di consensi o se la minoranza del suo partito gli chiede un deciso cambio di passo in direzione. Le analisi degli ultimi giorni che davvero interessano anche il segmento liberal-repubblicano del paese sono quelle che, a tenaglia, Massimo D’Alema e Romano Prodi hanno consegnato a Corriere della Sera e Repubblica. Non solo politics ma più policies, è la sostanza. Un vero e proprio assist per la destra italiana, che il tasto della riflessione e della ripartenza da zero proprio non vuol premere, consegnando ciò che resta dei suoi voti ai candidati grillini.

L’ex presidente della Commissione Europea ha tracciato il quadro sinistro italiano alla luce degli enormi cambiamenti, sociali prima che politici, in cui un intero continente si trova ad affrontare. In pratica, ed è la vulgata diffusa, il premier non sfonda perché dopo due anni di promesse non ha dato corso ai propositi, anzi, per certi versi rischia di fare più danni dei cosiddetti rottamati, si veda la riforma costituzionale e la vaghezza del migration compact che al di là del nome anglosassone, proprio come il jobs act, nulla di sostanziale offre.

Sarebbe utile che una simile voce, tagliente, franca e diretta, si ascoltasse anche nel campo del centrodestra che non solo subisce un effetto vallium dato dall’eterno tappo berlusconiano, ma si arrampica sul nulla di giustificazioni strampalate per certificare tre dati oggettivi e incontrovertibili: la deriva lepenista e populista non paga, perché i cittadini alla copia leghista preferiscono l’originale penstestellato; l’abbraccio di Forza Italia a Marchini che a Roma si era detto distinto e distante dai partiti gli è stato fatale; il rinnovamento di volti e neuroni non pare nemmeno avviato nelle intenzioni, figuriamoci nei fatti.

E’la ragione per cui la destra dovrebbe, se davvero avesse voglia di ricominciare, con umiltà e pazienza certosina, immergersi senza bombola a cento metri, subire un (altro) shock e da lì provare a tessere una tela in totale discontinuità con il passato. Al netto delle numerosissime elucubrazioni renziane, il Foglio ha scritto una cosa interessante per il campo conservatore: Stefano Parisi a Milano è l’unica nota positiva per i cocci del fu Pdl.

Moderato, nel senso che non si presta ai rutti padani; costruttivo, perché propone soluzioni praticabili e non passeggiate nello spazio; innovativo, perché non frutto di minestre riscaldate. Per costruire anche in Italia un contenitore repubblicano, così come esiste negli altri paesi democratici, ecco che la destra potrebbe iniziare con l’individuare altri diciannove Parisi e piazzarli, da subito e con coraggio, a macinare chilometri nelle regioni italiane.

Ma prima serve porsi una domanda semplice-semplice: davvero ai leader del centrodestra basta consolarsi con la storiella dei propri elettori finiti (momentaneamente) a votare M5S?

twitter@FDepalo

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