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La Francia e l’Egitto stanno rafforzando i loro rapporti economici e militari. Parigi cerca di aumentare la propria influenza nel Nordafrica, utilizzando gli egiziani anche sulla crisi libica, e una sponda per il Cairo che trova nella Francia un partner occidentale forte, in un periodo in cui i rapporti con Europa e Stati Uniti sono annacquati sia dalla torbida vicenda che ha coinvolto il ricercatore italiano Giulio Regeni, che dall’avvicinamento egiziano al polo attrattivo islamico rappresentato dall’Arabia Saudita. Oggi, tra l’altro, il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi ha detto: “Non sono stati i Servizi, ma qui c’è gente malvagia”. E ci sarà il caso di Regeni nell’agenda del presidente francese François Hollande in visita nei prossimi giorni in Egitto, scrive il Corriere della Sera riportando fonti diplomatiche francesi che aggiungono: “A Parigi prendiamo molto seriamente questo dossier, il presidente porrà la questione nei colloqui privati con Al-Sisi”.

VISITE E PRESENZE

Il 18 aprile il presidente francese François Hollande sarà infatti in Egitto per una visita di Stato che si prevede intensa e proficua (passerà anche per Libano e Giordania): sarà accompagnato da una delegazione di oltre 60 tra businessman e funzionari, oltre che da alcuni ministri, con l’intento di chiudere svariati accordi economici e commerciali. La visita è stata anticipata dalla presenza al Cairo del capo del protocollo dell’Eliseo, Elizabeth Dobelle, giunta sul posto nei giorni scorsi con un team di dirigenti francesi di alto livello, per mettere nero su bianco gli aspetti operativi e sostanziali di quelle intese che saranno siglate. La scorsa settimana, sempre in Egitto, s’è recato re Salman di Arabia Saudita: Riad finanzierà un ponte sul Mar Rosso che unirà i due Paesi (che forse sarà intitolato al sovrano saudita) e investirà circa 16 miliardi di dollari nella traballante economia egiziana; inoltre sono stati tracciati definitivamente i confini marittimi tra i due Stati, con l’Egitto che ha ceduto all’Arabia gli isolotti di Tiran e Sanafir. Quest’ultimo un aspetto non secondario, che ha richiesto precisazioni diplomatiche da parte del ministro della Difesa israeliana Moshe Yaloon, dato che Israele per quei confini sul Sinai e sul Mar Rosso ha combattuto guerre con l’Egitto. Ora però la fase di collaborazione è aperta, e l’ottica che collega Gerusalemme-Riad-Cairo è il contrasto alle iniziative dell’Iran (e delle milizie collegate) per una stabilità esistenziale tanto dello stato ebraico quanto dei paesi sunniti, oltreché il counter-terrorism in generale; su ciò si è basata anche la costituzione da parte dell’Arabia Saudita della cosiddetta “Nato islamico”, di cui l’Egitto è uno dei principali contribuenti. La creazione di questi allineamenti è vista anche come un tentativo di sganciarsi dalla dipendenza dagli Stati Uniti, cercando altre sponde occidentali come per esempio la Francia; già a giugno una visita di Laurent Fabius, il ministro egli Esteri francese, aveva avuto come obiettivo tastare il terreno tra palestinesi, egiziani, giordani e israeliani.

I SOLDI SAUDITI IN FRANCIA

Riad aveva già stanziato dei fondi all’Egitto nel febbraio del 2015 per l’acquisto di 24 jet Rafale, valore della commessa 5,2 miliardi di euro, forniti dalla Francia: a questa il Cairo ha affiancato le due classi Mistral che dovevano finire a Mosca, bloccate poi dalle sanzioni (altra commessa da 3 miliardi), e due corvette Gowind, sempre francesi (un altro miliardo), più, rivela Defense News, un sistema di comunicazione satellitare per un altro miliardo di euro; delle corvette e del satellite si definiranno gli estremi durante la prossima visita di Stato di Hollande, secondo La Tribune (nel contratto finirebbe anche Finmeccanica attraverso Thales Alenia Space, la più importante società europea nel settore delle tecnologie satellitari). I soldi investiti da Riad per rafforzare la difesa egiziana attraverso contratti con la Francia si sommano a quelli che Parigi riceverà per i contratti siglati sul nucleare saudita, dove le ditte francesi si occuperanno delle opere di progettazione e costruzione degli impianti (due previsti per il 2020, sedici per il 2030). Un rapporto che si consolida e che coinvolge una geopolitica ampia: se Credit Agricole e altri istituti francesi hanno deciso di finanziare l’Egitto, non è tanto per la garanzia posta dal Ministero delle finanze egiziano, ma più che altro perché dietro ci sono i sauditi.

Il rapporto stretto con gli egiziani permette ai francesi di rafforzare la propria presenza nel Maghreb e nel Sahel, dove è già impostato un dispositivo militare che prende il nome di Barkhane, contro il terrorismo e i traffici illeciti, a difesa degli interesse di Parigi estesi su tutta l’area.

NON SOLO ARMI

L’ambasciatore francese al Cairo, Andre Parant, ha annunciato che durante gli incontri collegati alla visita di Stato di Hollande lunedì prossimo “saranno firmati oltre 30 accordi” tra cui “contratti commerciali” e “progetti finanziari” che aumenteranno la mole di scambi commerciali (per ora pari a 2,5 miliardi l’anno), e altri “dieci protocolli di intesa” (MOU) su vari ambiti economici: energia, formazione professionale, turismo. Particolarmente interessante quest’ultimo settore: il turismo in Egitto è gravato dalla presenza dello Stato islamico nel Sinai, contro cui il governo di Abdel Fattah al Sisi sta cercando di combattere una guerra fisica ma anche psicologica. In entrambi i casi arriva l’aiuto francese, perché Parant, differentemente dagli sconsigli posti da diverse altre cancellerie occidentali (e anche quella russa) per ragioni di sicurezza nelle località turistiche del Mar Rosso (e ora pure al Cairo), ha invitato i propri concittadini a viaggiare verso l’Egitto. Sul turismo potrebbero pesare anche i successivi passaggi diplomatici della Farnesina a seguito degli sviluppi della vicenda Regeni: l’Italia per il momento si è limitata a richiamare per consultazioni l’ambasciatore, ma potrebbe porre veti sui viaggi in Egitto per altre ragioni di sicurezza, legate in questo caso alla gestione del potere di Sisi. Una posizione completamente opposta rispetto a quella della Francia dunque; anche se il ministero degli Esteri francese ha espresso preoccupazione per la volontà egiziana di chiudere il centro El Nadeem per la riabilitazione delle vittime di tortura, lo stesso che aveva fornito al Corriere della Sera nomi e storie di oltre 500 persone imprigionate dal regime.

LE CONTROVERSIE

Il vice direttore della rivista Monde Diplomatique due anni, fa in occasione della prima visita di Sisi in Francia, commentò che quello visto a Parigi era “un ritorno al passato”: “Ci si sente come a vedere Mubarak ricevuto da Chirac o Sarkozy”. Ha spiegato che “qualsiasi governo francese dovrà avere relazioni con un governo egiziano. Ma ad agire come se tutto fosse normale, come se non ci fossero problemi in Egitto, senza alcuna allusione alla situazione, alle persone imprigionate, è abbastanza inquietante”.

Un altro aspetto controverso di questo rapporto tra Egitto e Francia riguarda la crisi libica, che rappresenta per l’Europa una delle problematiche maggiori in termini di sicurezza (non solo: su Newsweek membri italiani dell’agenzia Onu per i rifugiati hanno espresso preoccupazione sulla riapertura massiccia dei flussi di migranti dalla Libia, dove nei primi tre mesi del 2016 c’è stato un incremento dei traffici di oltre il 50 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). In Libia la Francia appoggia ufficialmente il governo proposto dalle Nazioni Unite, insediatosi momentaneamente a Tripoli e in attesa del voto parlamentare, ma le forze speciali francesi si troverebbero sul lato opposto, nella base Benina a qualche decina di chilometri da Tobruk, dando supporto alle truppe del generale Khalifa Haftar insieme agli egiziani. Una posizione ambigua, visto che in questo momento Tobruk non sta fornendo via libera politico al leader-Onu Fayez Serraj proprio perché forte del sostegno dell’Egitto, che ha sulla Cirenaica una mira separatista geopolitica, e delle conquiste territoriali ottenute a Bengasi, pare anche grazi all’aiuto francese.

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