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A poche ore dalla chiusura di un accordo che tutti noi europei dovremmo festeggiare, è molto difficile dire cosa potrà succedere da oggi in Europa. Di certo, il premier britannico David Cameron ha conseguito il suo obbiettivo, ha ottenuto praticamente quello che voleva. In sintesi, da oggi dispone di uno status del tutto particolare per la Gran Bretagna, di un bel freno d’emergenza con il quale può bloccare sia le decisioni continentali che non gli aggradano, sia i suoi antagonisti interni, anche perché alcuni li ha pure nel suo partito, a partire dall’amico nemico Boris Johnson, il sindaco di Londra.

Cameron ha agito come un leader convintamente europeista di una nazione che gli ha affidato il governo del Paese, consegnandogli  la maggioranza assoluta alla Camera grazie soprattutto alla fase finale di una campagna elettorale conclusa con un chiaro messaggio  – probabilmente in Italia lo avrebbero definito populista – rivolto a una Europa con troppi lacci e lacciuoli, una Unione che così com’è (era?) piaceva sempre meno ai sudditi di Sua Maestà. Così facendo, aveva inoltre messo in angolo, togliendogli di fatto ogni argomentazione concreta (è notorio che i Britons siano persone pragmatiche) pure quel fastidioso di Farage, mentre il Labour ad escludersi ci aveva pensato da solo.

Quindi, c’è da rendergli merito di aver giocato molto bene la sua partita di poker. Gli altri leader europei non avevano certo buone carte in mano, ma – diciamolo pure – la forza di andare a vedere e di prendersi il piatto è stata tutta nelle mani del premier britannico. E l’europeista Cameron ora dovrà mettere il risultato conseguito ancora una volta sul tavolo – questo di sicuro molto più duro e complicato – della discussione politica interna dove – pare – ci siano ancora molti malcontenti e serpeggi lo scetticismo nei confronti dell’Europa, nonostante l’accordo raggiunto. Poi ci sarà il referendum a giugno dove si giocherà definitivamente tutto il suo prestigio e la leadership raggiunta, dato che un eventuale risultato a lui sfavorevole porterebbe con sé necessariamente le sue dimissioni.

Dimenticavo, e l’Europa? Quelli, gli altri giocatori da Tusk a Juncker fino alla cancelliera Merkel, fan sorriso a cattivo gioco con le loro dichiarazioni di circostanza. Con tutto il rispetto che è loro dovuto, sembrano quasi dei polli che han voluto sedersi a un tavolo dove l’esito della partita non poteva essere diverso, perché vincendo loro avrebbero comunque perso.

In ogni caso, il bicchiere mezzo pieno sta proprio nel fatto che l’accordo c’è e che, se non ci fosse stato, sarebbe stato un bye bye Europa. Sta anche nella chiarezza delle richieste e del comportamento di David Cameron, un risultato che potrebbe essere, anzi si spera sarà, un bell’assist per l’inizio del secondo tempo di un’altra partita europea, quella del premier italiano Matteo Renzi che, come Cameron, è europeista convinto ma di un’Europa da riformare e muove quindi molte riserve e critiche all’attuale organizzazione. Anche questa non mancherà di essere un’altra bella storia.

Perché Cameron gongola dopo l'accordo con l'Unione europea

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